mercoledì 26 gennaio 2011

Cochabamba da dentro

titolo della foto: "non so"


Sono giorni spenti, regolari, lenti. Da circa un mese e mezzo, sul lavoro, i miei colleghi ed io stiamo affrontando due importanti ma piuttosto burocratiche fasi dell’anno: la valutazione finale del 2010, nonché la pianificazione per il 2011. Quotidianamente i tasti di un pc o dell’altro battono rapidi sotto ai miei polpastrelli; i miei occhi si arrossano per tornare calmi durante la notte, ogni giorno da molti giorni.

Da circa tre settimane, qui a Cochabamba, la stagione delle piogge ha alzato la voce, si fa sentire con più vigore, caratterizzata da una schizofrenica alternanza di scrosci piovosi violenti e brevi gettate di grandine. L’asfalto è viscido, i colori normalmente vividi della città, ormai attenuati sembrano mescolarsi a scale di uno strano grigio torpore.

Ogni tanto mi illudo, cerco di convincermi che questa ambientazione ricordi un nordico romanzo noir, che in fondo faccia al caso mio…ogni tanto ci riesco anche. In fondo sono un po’ anche così, mi piace il grigio…eppure no…non qui, qui è diverso, qui non si trova quel vaporoso clima uggioso europeo...io non lo trovo, non lo sento. È difficile scrivere che clima si respira qui; a volte mi ricorda l’entroterra brasiliano, torrido, secco; altre volte mi fa venire in mente alcuni nostri paesaggi alpini, molto esposti e dunque lunatici; ogni tanto invece mi sembra di trovarmi nel centro di Milano o di qualche altra cementica città in un periodo autunnale, ma nella quale la forza della natura quasi non arriva, perché le leggi dell’urbanistica e del traffico sono più in vigore, o per usare un termine più appropriato, hanno la precedenza.

Ho come il timore che sia per colpa mia, forse non sto lasciando entrare Cochabamba, forse escludo alcune possibilità a priori, come se la durezza di alcuni aspetti mi abbia socchiuso o chiuso alcuni altri tipi di percezione. Che sia colpa mia o no, faccio fatica a trovare una mia dimensione ambientale o dei punti di riferimento in grado di trasmettermi calma.

Cochabamba però l’ho conosciuta, non mi sono mai tirato indietro, ho rotto il ghiaccio e l’ho frequentata, la frequento. Cochabamba chiaramente non è solo guida turistica, statistica, anagrafe e geografia…anzi direi proprio che se la si frequenta, bisogna davvero fare lo sforzo di guardare oltre, perché se no ci si può anche arrabbiare (in questo caso parlo per me).

Cochabamba si muove al ritmo dei pasti e degli spuntini, Cochabamba si muove rigorosamente su quattro ruote. A Cochabamba ci sono arte e cultura, però le leggende e le credenze popolari influenzano tutto quanto, così come la semplice espressione di un professore può influenzare l’esame orale di un maturando.

Ogni volta che mi spavento, ora, io sputo in terra proprio nel luogo in cui ho provato la paura…questo simbolizzerebbe il coraggio di riaffrontare l’evento spaventoso…Cochabamba ha influenzato anche me.

La città è una scacchiera strombazzante, che dalle montagne del nord, fino alle lagune del sud, scalpita per un posto più avanti negli ingorghi stradali, sempre uno in più e un altro ancora…in città si possono trovare autisti di taxi o trufi, capaci di tutto…e badate bene…dico di tutto.

Cochabamba è sporca…si…oggettivamente lo è…solo che non è piena di quella sporcizia fine a se stessa…qui è come se la spazzatura avesse un suo senso (ho detto “è come se”)…qui aride immagini di persone alla conquista fra l’immondizia si susseguono durante tutta la giornata…non ho mai capito cosa cercano di preciso…credo di essere arrivato alla conclusione che semplicemente cercano qualcosa. Piccole e smunte donnine dagli abiti un tempo sgargianti, rovistano meticolosamente e lentamente in ogni sacco dei rifiuti che trovano, mentre i loro bellissimi bambini giocano e scoprono gli oggetti già selezionati, salvati, privatizzati di nuovo.

Cochabamba per me non è una città estetica, è una città composta da una sorta di spirito di appartenenza e se uno è disposto a farlo suo, questo spirito, allora Cochabamba può diventare un regno bellissimo, in cui la birra scorre a litri, le griglie sfrigolano dal mattino al mattino seguente, le piazze sono ancora un luogo di ritrovo sincero e di dialogo animato e la musica viene da lontano nel tempo.

Attendo la fine di questo falso romanzo noir…attendo il ritorno del sole, del lavoro sulla strada, i discorsi e i momenti con i ragazzi delle varie bande…attendo di tornare sul campo.

venerdì 14 gennaio 2011

Capitani dell'asfalto 4-Costa Nera e Huayna Capac

La Costa Nera e il ponte Huayna Capac, sono due zone calde di Cochabamba per quanto riguarda furti, criminalità e degrado urbano. Certo non solo…la Costa Nera è uno spiazzo asfaltato piuttosto grande che costeggia il fiume Rocha, sul quale spesso vengono organizzate fiere, a volte luna-park e ogni tanto tornei di calcetto. Il fiume Rocha, per come la vedo io, fa fatica a mantenersi degno di nome…e questo soprattutto per colpa di molti cochabambini, che usano le sue ormai tossiche acque come wc, docce, lavanderia e lavaggio per veicoli. Il fiume Rocha passa anche sotto al citato ponte Huayna Capac, ubicato a circa un chilometro dalla Costa Nera. Il viadotto è uno fra i tanti che collega la parte nord alla parte sud della città, il suo nome si riferisce ad un imperatore Inca vissuto fra il 1400 e il 1500.

Da quando sono arrivato a Cochabamba, personalmente ho lavorato solo 6 volte, fra mattinate e pomeriggi, con i gruppi di persone in situazione di strada, che occupano le due zone in questione. Per ragioni di tempo e di vicinanza, l’équipe di lavoro del progetto Coyera, preferisce unire le attività delle due bande, quando possibile. La scarsità di presenze sull’arco di 6 mesi, è riconducibile ad un periodo di forti cambiamenti interni alla Fondazione (mancanza e rinnovo di personale), nonché ad alcuni attriti che ci sono stati con e fra le due bande.

Se il gruppo che vive sotto al ponte Huayna Capac è composto da adolescenti e da giovani adulti (di entrambi i generi); la popolazione della Costa Nera si contraddistingue da ogni altra banda di Cocha per il fatto di includere numerosi membri delle stesse famiglie.

In questa area della città si possono trovare cleferos di tre generazioni diverse appartenenti allo stesso nucleo famigliare: dalla nonna alla nipotina.

Il consumo è aggressivo e le dinamiche famigliari spesso altamente problematiche e violente. I bambini più piccoli sono seguiti regolarmente, come nel caso di altri gruppi della città, dal progetto Fenix.

I genitori dei bambini hanno tutti un’età inclusa fra i 20 ed i 30 anni, ognuno di loro porta addosso i segni di un esistenza al limite.

Il lavoro con questo gruppo di persone non mi concede spazio per considerazioni più lungimiranti o descrittive. La loro realtà è oggettivamente tragica, cruda; non che quella di altri gruppi lo sia meno, però qui stiamo parlando di persone adulte che sprofondano saldamente le proprie radici esperienziali nel mondo della strada, della malattia e della droga, nonché di bambini che sono nati sulla “calle” (strada).

Il lavoro con questi due gruppi di persone, personalmente mi risulta particolarmente frustrante e duro. Spesso, anche come professionista, mi ritrovo confuso, allarmato; non capisco se queste persone siano in grado di considerare effettivamente la loro condizione e quella dei loro figli. Non capisco se concretamente si possa fare ancora qualcosa per il loro stato (non ho dubbi sul fatto che si possa intervenire in qualche modo con i bambini). Questi pensieri sorgono soprattutto in quei periodi durante i quali da queste persone in situazione di strada, non arriva nessun tipo di richiesta, non traspare nessun tipo di motivazione, emerge fortemente un loro distacco dalla realtà.

Aneddoto:

Lucia (nome fittizio), è una giovane donna siero positiva che vive sotto al ponte Huayna Capac da una vita.

Il suo stato di salute è grave e il suo consumo molto pesante. Circa due mesi fa ho assistito al seguente dialogo:

Lucia: “Basta con questa vita, vorrei mettermi a posto”

Assistente sociale: “Si Lucia, sei gravemente malata, ti devi curare, devi andare in un centro!”

Lucia: “Certo, è quello che voglio fare, mica voglio morire io…e poi basta con questa colla”

Assistente sociale: “Allora andiamo oggi, organizziamo il passaggio e ti portiamo, non c’è più molto tempo”.

Lucia: “No giovane, non ti preoccupare, ho calcolato tutto, voglio andare in un centro però non prima della prossima estate”.

Assistente sociale: “La prossima estate Lucia??”

Lucia: “Si giovane, mi ricovero a luglio 2011, non ti preoccupare”.

A volte è difficile trovare un modo di comunicare le cose a queste persone, è difficile decidere se essere chiari fino in fondo o se rispettare la loro visione della vita, assecondando alcune loro scelte (come equipe siamo tenuti a rispettare le scelte o le non-scelte), o meglio evitando di insistere su cosa sia giusto o sbagliato secondo noi. La considerazione relativa all'aneddoto esposto riguarderebbe il fatto che Lucia, probabilmente, rischia di non esserci più il prossimo mese di luglio.


Matteo

domenica 2 gennaio 2011

La Bolivia si calma

Con effetto immediato, il Presidente Evo Morales, con il suo consiglio, ha abrogato “il gasolinazo”, ovvero la legge 748 che dal 26 dicembre ha agitato la nazione intera.

Il giorno 31 dicembre alle ore 22:15, proprio mentre i sottoscritti aspettavano l’anno nuovo con alcuni amici, riflettendo sull’argomento ed immaginando le ripercussioni del caso, Evo Morales, dopo una riunione di gabinetto, con sindacati e organizzazioni sociali a La Paz, si presentava pubblicamente e decretava l’annullamento degli aumenti dei carburanti. La scelta di giorno ed orario, da parte del Presidente, hanno fatto si che tutti i mezzi di comunicazione siano dovuti andare in edizione speciale durante la notte di Capodanno; d’altro canto questo tipo di tempestività ha permesso di evitare manifestazioni importanti che erano previste a partire dal primo giorno del 2011.

Le dirette conseguenze dell’abrogazione sono che automaticamente i prezzi dei trasporti e di tutte le derrate alimentari sono tornati alle quote abitudinarie di prima; gli stipendi di militari, professori e medici a loro volta non subiranno un aumento del 20%.

Nel paese, dopo il 26 dicembre, si erano registrati veri e propri atti di speculazione ed abuso da parte di proprietari di negozi e trasportatori, che da un lato si lamentavano dell’aumento dei costi, dall’altro vendevano i propri servizi a costi più elevati anche senza ragioni specifiche.

È il caso, ad esempio, del negozietto di fronte a casa nostra, che pur avendo già in scorta diversi tipi di bevande, senza dunque aver bisogno di farsele ricapitare con mezzi a motore, ha aumentato il prezzo per unità di 2 Bolivianos.

In ogni caso il popolo è rimasto unito nelle insurrezioni, supportato e rappresentato da sindacati e organizzazioni sociali, ottenendo dopo soli 5 giorni l’annullamento di un decreto che realmente spaventava e agitava.

Noi abbiamo assistito a questo rapido processo di cambio e di ritorno alla normalità con interesse, riuscendo ad elaborare ragionamenti nostri sugli accadimenti.

La strutturazione dello stato e la reattività del popolo in Svizzera sono diversi. Quando una legge proprio non ci sta bene, quasi sempre non è colpa del Governo, che dal canto suo può appellarsi al fatto che la legge in questione è stata approvata da una maggioranza del popolo (democrazia diretta).

Osservare quanto appena accaduto in Bolivia per noi è dunque stato particolare; la politica qui non è solo intesa nel senso più stretto del termine, ovvero: destra, sinistra, rosso, blu o centro. La politica qui, come dovrebbe essere intesa ovunque, è spirito e senso di cittadinanza, voglia e necessità di partecipazione alle decisioni del paese e di non adeguarsi lamentandosi delle conclusioni prese da altri.