domenica 27 febbraio 2011

Questione di tempo

Potosì: scultura all'interno del patio della Casa delle Moneta

Se un boliviano partisse per la Svizzera, cosa racconterebbe dopo due o tre mesi di permanenza nel nostro paese? Probabilmente ai suoi amici, una volta tornato, riporterà la ovvia constatazione che la Svizzera è un paese caro anzi, carissimo. Potrebbe riferire che si è trovato a vivere in un piccolo pueblito, dove per spostarsi da una regione all’altra bastano poche anzi, pochissime ore. Vivendo per qualche mese nella nostra regione potrebbe riportare notizie strabilianti, come leggi proibitive per i cani che vagabondano senza guinzaglio; normative ad hoc sul tema del riciclaggio e dello smaltimento rifiuti. Ipotizzando il rientro, potrebbe inoltre discutere del fatto che la strada non è vissuta, se non per spostarsi da un luogo all’altro; oppure riferirebbe di abbonamenti per i mezzi pubblici, dell’assenza della sopa e delle salteñas, e dell’immancabile e quasi ossessiva puntualità del popolo svizzero.
Certo in questo immaginario non direbbe nulla di sbagliato del nostro paese, personalmente però sarei pronta a discutere con il viaggiatore, spiegandogli che la Svizzera non è solo questo.

Sono ormai sette mesi che stiamo vivendo a Cochabamba, e da alcune settimane ci stiamo accorgendo che solamente ora possiamo dire di star iniziando a conoscere questa città e la cultura che la abita. All’inizio tutto era talmente diverso, che le nostre osservazioni e le nostre critiche erano concentrate praticamente su tutto quello che ci circondava. Ora stiamo imparando a conoscerla questa città caotica e disordinata, ce ne stiamo impossessando giorno dopo giorno, e quello che una volta ci sorprendeva, oggi passa inosservato ai nostri occhi. Non facciamo più caso allo “spuntino” delle 11.00, all’attesa del trufi che non arriva mai, ai cleferos per la strada, ai piccolissimi venditori di cicche e rose in calle España, all’abuso di alcool, ai colori accessi dei vestiti delle cholitas, ai musi amici dei cani nel parco fuori casa. Ora la nostra attenzione è più diretta, indirizzata, sicuramente meno disordinata. E così per esempio, abbiamo potuto vivere lo sciopero generale dei micro e dei trufi, condividendo i pensieri e le osservazioni dei nostri colleghi, senza sorprenderci più di tanto dalla banale constatazione che da noi un evento simile non sarebbe mai potuto succedere.

Quando abbiamo preso la decisione di partire per un’esperienza di cooperazione internazionale con Inter-agire/BMI, un po’ ci spaventava l’idea di dover allontanarci da casa per un intero anno. Oggi siamo consapevoli che per portare a termine un progetto interessante e utile di questo tipo, un anno non è sufficiente. Noi stiamo dando del nostro meglio, approfittando di scambiare e confrontare al massimo le conoscenze professionali e umane con la popolazione con la quale siamo in contatto, ma non possiamo far a meno di constatare che per iniziare ad introdursi in un nuovo paese è necessario davvero fermarsi nello stesso per molto più tempo.

Ora che il nostro periodo introduttivo è ormai terminato, già ci ritroviamo a pensare al rientro, e questo fatto a volte ci lascia con l’amaro in bocca. Certo questi ultimi mesi sono ancora tutti da vivere, e potremmo ancora approfittare molto di questa città…

È strano come Cochabamba ci sia entrata nel cuore. È stato come iniziare un nuovo lavoro,
e scoprire il primo giorno di avere a che fare con collega che proprio simpatico non è. Con il passare del tempo, costretti a collaborare quotidianamente, a condividere magari qualche pranzo, e qualche cena di lavoro, obbligati a confrontarsi su temi professionali in comune, abbiamo scoperto che questo collega, forse non sarà un campione in simpatia, ma certo è una persona assolutamente interessante. Cochabamba è una città che si è fatta voler bene svelandosi poco a poco, scoprendo prima di tutto la sua sconsiderata vitalità, i suoi paradossi e le sue esagerazioni; poi pian piano ha iniziato a mostrare anche il suo lato caldo e accogliente, la sua voglia di indipendenza e giustizia, i suoi abitanti alla ricerca di cultura e alternative valide, la sua gente ancora così profondamente legata a valori ancestrali.

Sarebbe stata una grande perdita andar via dopo pochi mesi.

Sarà davvero un dispiacere non aver l’occasione di approfondire ancor di più questa conoscenza.

lunedì 21 febbraio 2011

Diversità sostanziali

foto: berimbau sulla Piazza principale

Giubiasco, ore 07:00, suona la sveglia

Non è un giorno speciale, nessun incarico particolare, nessun colloquio e nessuna riunione cruciale, eppure un sottofondo pseudo ansioso attacca non appena apro gli occhi. È tempo di posare i piedi per terra, è tempo di svegliarsi, è tempo di fare colazione (abbondante possibilmente, perché poi, probabilmente, fino alle 11:45 “nisba”), è tempo di verificare il tempo, perché i bus non attendono, perché i treni non attendono, perché il lavoro non attende, è tempo! Ho diversi appuntamenti durante la giornata, per fortuna ho la mia agenda, non vedo l’ora di vederla tutta spuntata e vistata a fine giornata, perché questo accadrà.

Cochabamba, ore 07:00, suona la sveglia

Non è un giorno particolare, mi aspetta un’intensa giornata di lavoro, ma nessun appuntamento chiave. Vorrei arrivare puntuale al lavoro, in modo da avere il tempo di sgranocchiare ancora qualcosa mentre aspetto i colleghi…pertanto non mi riempirò troppo a colazione, giusto un “cafferino”, un frutto, magari un paio di biscotti. In ogni caso poi…verso le dieci e mezza faremo uno spuntino. Chissà quando riuscirò a salire su un mezzo pubblico che mi porti al lavoro, solitamente devo aspettare il passaggio di 4-5 veicoli, prima di trovarne uno con un posto libero per me. Chissà se i ragazzi oggi vorranno partecipare alle attività, chissà come andrà la giornata, certo di cose da fare ne abbiamo pianificate parecchie…chissà quali di queste riusciremo a mettere in atto.

Giubiasco, ore 07:45, esco di casa

Ottimo timing Matteo, ora a passo spedito puoi arrivare alla stazione in 11 minuti, secondo più secondo meno…vale a dire che potrai sederti sulla panchina del binario 3 alle 07:56, in modo da avere ancora ben 7 minuti per dare un’altra occhiata all’agenda, magari ascoltando un po’ di musica dal lettore mp3, isolandoti dal gracchiare di tutti quegli adolescenti griffati che aspettano lo stesso treno.

Cochabamba, fra le sette e mezza e le otto, esco di casa

Ok…ora vado al solito incrocio e vedo cosa fare…c’è poco da prevedere. Magari prima passo a comprare il giornale. Mi fermo a fare due chiacchiere con il bottegaio e con un ragazzino che sta parlando di calcio con l’anziano proprietario del negozietto.

Giubiasco, ore 07:59, la notizia

“Informiamo i passeggeri che il treno con partenza Bellinzona, e con destinazione Locarno, viaggia con 10 minuti di ritardo”. Che intoppo, è tempo di avvisare il capo.

- Ciao capo, qua c’è un bel ritardo…arriverò a Locarno 10 minuti più tardi del previsto, mi spiace-

- Tranquillo, grazie per avvisare, ti aspetto in stazione alle 08:33, se ci sono altri imprevisti mandami un sms, così non spendi troppo-

Cochabamba, fra le sette e mezza e le otto, la notizia

Apro il giornale e scopro che è stato indetto uno sciopero dei conducenti di mezzi pubblici, rimango spiazzato per un attimo. Effettivamente mi rendo conto che non circola nessun mezzo, a parte automobili private e taxi. La gente cammina per dirigersi al lavoro, nessuno prende un taxi perché costano troppo, soprattutto oggi! Rifletto un attimo e poi mi incammino pure io…certo la strada è lunga…dovrò camminare circa 3km per arrivare in ufficio. Sono un po’ preoccupato per l’andamento della giornata…di lavoro ce n’è parecchio e non vorrei che si accumulasse per altri giorni; inoltre penso a tutte quelle persone pagate a ore o a giornate, oggi impossibilitate. In quel momento di mi chiama il capo:

- Matteo…hai letto dello sciopero? Per questa mattina è meglio che non vieni al lavoro, ci sono manifestazioni in centro, la situazione è un po’ agitata, resta a casa, ci risentiamo oggi.

- Si capo, a più tardi.

Mi spiace un sacco, ma posso approfittarne per lavorare un po’ad alcuni documenti, o meglio ancora per lavare la biancheria, visto che non piove.

Giubiasco, ore 08:33, il lavoro

Il capo è tranquillo, ma sa che quei dieci minuti di ritardo influenzeranno alcuni appuntamenti della giornata. Nonostante l’intoppo il lavoro si svolge bene, sono felice di quello che riusciamo a fare…tutto procede quasi secondo programma e agli orari prestabiliti, minuto più minuto meno. Quando la giornata professionale volge al termine sono stanco ma soddisfatto…ancora 31 minuti e sarò a casa, secondo più secondo meno.

Cochabamba, fra le due e le due e mezza, il lavoro

Il capo mi chiama, è agitato perché le manifestazioni e lo sciopero non ci permetteranno di lavorare per tutto il giorno. Mi dice che dovremo recuperare queste ore durante un week end, ovviamente capisco la situazione e mi sta benissimo la sua alternativa. Decido di uscire a far due passi e magari incontrarmi informalmente con qualche ragazzo per strada, chi lo sa, forse riesco a portarmi un po’ avanti con alcuni appuntamenti. Per strada non c’è quasi nessuno, nessun ragazzo...i manifestanti hanno bloccato le strade principali e i ragazzi non hanno motivo di lavorare ai semafori come lustra-vetri, il traffico è quasi nullo. Chissà se domani continueranno lo sciopero e le manifestazioni…speriamo di no, la gente ha bisogno di lavorare, di produrre…bhè, d’altronde anche i conducenti non hanno tutti i torti, fanno bene a protestare…che situazione intricata.

Giubiasco, ore 19:30, la sera

Mangio con la mia famiglia e penso a cosa fare durante la serata…di uscire non se ne parla, probabilmente mi metterò in internet e parlerò con qualche amico…mah, mi sembra una cosa ridicola…parlare via internet con una persona che vive a 3-4 km da casa mia. Finisco di mangiare ed esco di casa deciso a trovare un luogo decente per bere una birra e incontrare qualcuno. Arrivo a Bellinzona verso le ventuno, è lunedì sera, fa freddo, entro in un locale e un cameriere mi comunica che fra poco chiuderanno…esco per cercare un altro posto…ma rimango perplesso, rimango praticamente chiuso fuori da tutto. Chiamo un paio di amici, uno rimane a casa (giustamente), l’altro mi invita a casa sua (temerario). Raggiungo il secondo…serata carina…ma verso le 22:00 decido di tornare a casa…in fondo devo sempre pensare che la sveglia suona alle 07:00 e alle 08:03 c’è un treno che non attende.

Cochabamba, tardo pomeriggio-sera

Dopo la lunga passeggiata decido di tornare a casa per mangiare qualcosa, durante il tragitto però mi chiama Diego, l’istruttore del gruppo di Capoeira, proponendomi di fare un po’ di allenamento in piazza per poi mangiare qualcosa veloce insieme. Acconsento…pertanto passo da casa, prendo le cose e lo raggiungo nella gremita Piazza Principale. In giro ci sono artisti di strada di ogni genere, profeti che dichiarano urlando l’imminente fine del mondo, esponenti politici che fanno piccoli comizi, bambini che lustrano scarpe, adolescenti che giocano a pallone, anziani che si sfidano a scacchi o a opinioni sul mondo. I vetri del palazzo municipale sono scassati e in giro ci sono ancora i segni dei piccoli falò accesi durante le manifestazioni della giornata. Molta gente si ferma a guardare il gruppo di Capoeira che si allena. Quando ci sentiamo stanchi andiamo a bere un succo di frutta e parliamo del più ma anche del meno. Tutti sono preoccupati per la situazione…sperano di poter lavorare regolarmente domani. Nicole mi raggiunge una volta terminato di lavorare (lei lavora nella zona nord e non ha avuto problemi con le manifestazioni del centro). Mi congedo dagli amici della capoeira e vado a mangiare qualcosa per strada con lei. Insieme poi torniamo a casa, vorrei riposare bene questa notte…spero di poter tornare al lavoro domani.

domenica 13 febbraio 2011

Intervista alla Coordinatrice della Fondazione "Estrellas en la Calle"

Inizia qui una relativamente breve serie di interviste, rivolte alle persone che principalmente possono fornire un quadro descrittivo e analitico della situazione che sto vivendo professionalmente. Opinioni dirette e sincere, da parte di chi sulla strada ci lavora, ci passa o ci vive. Iniziando dalla coordinatrice della Fondazione per la quale sto lavorando, arriveremo in seguito a leggere le risposte alle mie domande, di chicos e chicas in situazione di strada e di altri protagonisti di questo tipo di fenomeno sociale.
Buona lettura.

Intervista

Felina-Coordinatrice Fondazione “Estrellas en la Calle”

Focus: quadro generale; campi di intervento; realtà boliviana

1. 1 Generalità?

Mi chiamo Felina e sono laureata in scienze dell’educazione, con specializzazione in tossicodipendenza; in questo ramo ho un’esperienza di 17 anni.

2. 2 Di cosa si occupa la Fondazione in breve?

La Fondazione fa un lavoro di intervento e prevenzione con bambini e adolescenti in situazione di strada o in alto rischio. Per questa attenzione sono stati pensati e attuati diversi progetti: per la prevenzione c’è il progetto Inti K’anchay; per l’attenzione e motivazione in strada ci sono i progetti Coyera, Wiñana e Fenix. Quest’ultimo lavora nel binomio madre-figlio, con nuclei famigliari che hanno o hanno avuto esperienza di strada.

3. 3 Qual è il tuo compito all’Interno della Fondazione?

La coordinazione generale, che implica la supervisione, valutazione e applicazione di tutti i progetti della Fondazione. Mi occupo di monitorare lo sviluppo dei progetti e il modo di lavorare del personale incaricato.

4. 4 Da quanto tempo lavori con persone in situazione di strada?

17 anni.

5. 5 Cosa pensi di questo lavoro?

È un lavoro difficile e completamente di servizio, nel senso che devi essere consapevole che molto gratificante non sarà mai. Devi dare più di quello che ricevi. Bisogna avere in chiaro che lavorare con minori tossicodipendenti, che inoltre hanno diverse problematiche anche a livello sociale e legale (perché rubano e delinquono), è un processo molto lungo. Queste persone, come tutti, devono avere una possibilità di cambiare, noi lavoriamo con questa possibilità. Non sono molti quelli che decidono di raccogliere la possibilità che offriamo. Il nostro compito comunque è quello di poterli motivare, e dargli fiducia.

6. 6 Cosa può rappresentare l’educazione promossa dalla FEC per gli usuari?

Dovrebbe rappresentare una possibilità di vedere quello che loro stessi potrebbero fare. Sono certa del fatto che noi non possiamo attuare il cambiamento per loro. Noi siamo gestori, possiamo motivare, siamo dei ponti sociali, ma non siamo qui per prendere decisioni per loro; se lo facessimo sarebbero solo decisioni momentanee, effimere e non appartenenti alla persona, al soggetto, al suo progetto di vita.

7. 7 Quali sono le origini di questo fenomeno sociale?

Sono multiple. La maggioranza delle persone è abituata a pensare che la problematica della vita della strada è unicamente legata alla povertà economica. Personalmente ho partecipato a diverse analisi sia a livello locale che nazionale; ho capito che questa piaga non passa solo per la povertà economica, bensì per come le famiglie sono strutturate, per come il progresso e la globalizzazione hanno influito sulle strutture famigliari, sul mantenimento dei valori. Con molta facilità oggi una famiglia si destruttura. Possono esistere famiglie non funzionali ma unite, però la maggioranza si separa, si destruttura appunto. Non c’è un serio impegno nel mantenere unita una famiglia. Fornire un modello ai propri figli non significa unicamente compiere il proprio ruolo genitoriale sul piano materiale e economico. In ogni caso, se fosse solo per il fattore povertà, tutti i poveri dovrebbero trovarsi a vivere in strada, ma non è così. Il fatto è che sempre più spesso le famiglie sono composte da persone non capaci di rispondere a ruoli sociali.

In Bolivia questo fenomeno è iniziato negli anni ’70 in concomitanza con l’avanzare della globalizzazione e il liberalismo radicale.

8. 8 Vuoi parlare brevemente dei sentimenti negativi o positivi che provi nei confronti del lavoro che svolgi?

È un invito all’elaborazione di tolleranza e frustrazione. Credo che la mia maggiore frustrazione è stato il contatto con la cornice politica e governativa. Ho lavorato per anni con enti governativi e nazionali. Le persone che sono in situazione di strada, come detto, lo sono per multiple ragioni, e noi siamo qui per proporre o rappresentare un cambiamento per loro. Persone con formazione, cultura e possibilità d’azione, che detengono il potere, non fanno nulla per questo cambiamento…si servono delle loro posizioni per altre cose. Per me è molto più duro digerire questo che ad esempio assistere ad una ricaduta nella droga di un bambino…la ricaduta fa parte del processo di vita del bambino…la non responsabilizzazione del Governo la vedo diversamente, sono molto dura nei loro confronti.

Per quanto riguarda il positivo: questi bambini, adolescenti, genitori, sono persone uguali a noi, hanno capacità e valgono.

9. 9 Che funzione assumono il Governo e il Dipartimento di Cochabamba nei confronti delle persone in situazione di strada?

Loro in gran parte si occupano o dovrebbero occuparsi della regolamentazione legale delle associazioni che lavorano in strada. Credo che l’importante è che loro siano sempre consapevoli di cosa significhi lavorare con persone in situazione di strada o ad alto rischio. Ci sono organizzazioni sociali che non hanno le reali condizioni, capacità e abilitazioni per lavorare in strada…non solo perché qualcuno ha delle buone intenzioni significa che farà un buon lavoro. In base a questa situazione, ci sono leggi che devono essere rispettate e altre che devono essere costruite, il Governo del dipartimento di Cochabamba si trova attualmente in questo processo. Gli incarichi governativi di questo settore devono capire che il lavoro in strada deve essere più regolamentato, perché un tipo di intervento fatto male, non aiuta, al contrario disturba, aggrava la situazione, fa molti danni. Le regolamentazioni da perfezionare possono avere a che fare con varie caratteristiche di una Fondazione o organizzazione, come ad esempio l’idoneità dei professionisti che ci lavorano; la qualità del quadro d’intervento; i piani educativi; l’adeguatezza e il realismo dei preventivi richiesti al Governo; la valutazione annuale del personale incaricato…ecc. Tutte queste cose e altre, dovrebbero essere soggette a norme più severe, per evitare che ognuno faccia quello che vuole. Oltre che a queste leggi il Governo dovrebbe assumersi anche la responsabilità di gestire adeguatamente e con criterio i soldi destinati al nostro settore, cosa che difficilmente accade. Poco tempo fa ad esempio hanno comprato completi sportivi di marca per 1'200 persone svantaggiate, questa grande spesa secondo me è inutile, pubblicitaria e fine a se stessa, è solo un’irresponsabile mossa politica.


Cr10 Credi che sia un fenomeno sociale destinato ad attenuarsi o ad aumentare?

Dopo anni passati a lavorare in questo ramo, credo che la problematica si stia acutizzando. Come ti dicevo con grande facilità le famiglie si sfaldano e se un figlio vuole andarsene di casa per finire poi in strada, molti genitori non ne fanno una tragedia. Sempre meno c’è questa forza che serve per tenere unita la famiglia…siamo soggetti a un bombardamento mediatico che ci influenza molto…è un’influenza che arriva da Stati Uniti e Europa…solo che qui in Bolivia ancora non abbiamo i mezzi per gestire questi influssi culturali. La gente assorbe il modello europeo, ma lo assorbe in forma errata…il fatto è che in Europa, nelle famiglie, ci sono le risorse economiche per portare avanti un determinato modello, anche destrutturato; qui le risorse mancano.

11. 11 In generale la cittadinanza come si approccia a questo fenomeno sociale?

Manca totalmente coscienza e sensibilità, c’è irresponsabilità. Non c’è realismo, non ci si rende conto che queste persone se ne sono andate dalle stesse famiglie di Cochabamba…è come se gran parte della gente pensasse che sono venute su dalla terra e che non sono soggetti di una comunità. La gran parte della gente non si fa carico di nulla, non aiuta…ma al contempo vuole che queste persone scompaiano.


Alla prossima

Matteo

domenica 6 febbraio 2011

"La Virgen de Candelaria"

Alla fine, poi, gli sforzi vengono sempre ripagati.

Giungere a raccontare della partecipazione alla “Virgen de Candelaria”, come moltissime delle attività organizzate da “educar es fiesta”, è stato come tagliare un vero e proprio traguardo dopo un estenuante competizione.

Dopo le due settimane di vacanze natalizie, passate a rilassarmi e godermi finalmente un po’ il centro e i dintorni di Cochabamba (oltre ad una breve ma piacevolissima capatina a Sucre, che mi ha fatto dimenticare completamente l’idea di lavoro e di tutti i suoi annessi), ecco che il 10 gennaio “educar es fiesta” mi ha riaccolto nel suo clima di iper-attività e straordinaria organizzazione. Fra una riunione generale e un piano di lavoro specifico, un programma annuale e la preparazione delle nuove attività per il prossimo semestre, ecco che spunta pure l’idea degli animatori culturali di Taquiña di creare una fraternità (gruppo di ballo) per partecipare alla già accennata “Virgen de Candelaria”. L’idea è interessante: in questo modo infatti i giovani animatori culturali possono integrarsi ulteriormente nelle attività del loro quartiere, acquistando fiducia e visibilità di fronte all’intera popolazione.

Abbiamo passato così quasi un mese provando e riprovando all’infinito e ancora di più, i passi di Saya: ballo dalle origini peruviane, che però dal 1980 circa si è identificato come ballo delle Yungas, zona che demarca il confine fra altopiani e l’inizio delle umidi pianure boliviane, diventando così anche un ballo afro-boliviano. (Nelle Yungas vivono infatti ancora comunità discendenti da colonie di schiavi africani). Intere serate passate per le strade del quartiere, con gli amplificatori a dar la carica, a preparasi per il grande evento, confrontandosi con gli altri gruppi, anch’essi organizzati per le prove generali sulla strada.


Prove generali

Per non parlare poi del lavoro organizzativo in merito agli abiti da affittare per l’evento, con tanto di cappelli, foulard per le ragazze e treccine per tutti; del così detto refrigerio (sinonimo del nostro “spuntino”) che in terra boliviana significa, per lo meno in queste occasioni, pollo con patate e riso, senza dimenticare certo il refresco (bevanda analcolica di qualsiasi genere), il tutto preparato per tutti i bambini e adolescenti partecipanti all’evento, e per tutte le rispettive famiglie, un centinaio di persone circa; fortunatamente poi alcuni aspetti organizzativi si sono suddivisi fra i diversi membri dell’equipe attraverso il così detto padrinato (di cui ho già accennato nel post sulla Virgen de Copacabana): così Griseldo si è occupato di organizzare lo stendardo da sostenere davanti al gruppo di ballo, Patty e Queso si sono occupati degli aspetti del refrigerio, io ho assunto la responsabilità del refresco, ecc.

Abito tipico "saya" con tanto di parrucca

Ed ecco finalmente il che il 5 febbraio si balla la Saya alla “Virgen de Candelaria”, nel barrio Taquiña.

L’atmosfera è incantevole, le vie di Taquiña sono stracolme di gente che mangia, beve, balla, sorride, gioca, grida, invade la strada, blocca le auto, attira l’attenzione. La sensazione non è molto diversa da quella di trovarsi ad ammirare un corteo di carnevale ticinese: i gruppi che partecipano all’evento sono numerosi, ben organizzati e differenziati per costumi tradizionali e origini della danza. Quest’ultima risulta essere uno degli aspetti principali dell’evento, anche se viene accompagnata sempre e comunque da una piccola banda musicale (normalmente composta da barcollanti ed etilici musicisti di strumenti a fiato e a percussioni).

Ad aprire l’evento ecco apparire la “Virgen de Candelaria” in versione statua, sorretta da quattro robusti uomini del barrio (anch’essi non propriamente astemi). Dietro di loro si estende l’allegro corteo, che a passo d’uomo percorre la vie del barrio.

Virgen de Candelaria

L’atmosfera è incantevole e agitata: i differenti e coloratissimi costumi mi sorprendono e mi illuminano. Le bambini e i bambini sono già parte attiva della tradizione, e vederli agghindati e decorati come non si può immaginare, è assolutamente poetico. Alcuni balli ancora non riesco a riconoscerli, ma non si possono confondere di certo i toni accesi del tinku, i mascheroni da diavoli della diablada o i movimenti aggraziati e corteggiatori della queca.

Anche il gruppo di animatori culturali ha fatto la sua bella figura, aprendo le danze a ritmo di saya esattamente nella prima posizione, appena dietro la vergine, rafforzando il lavoro di visibilità e impegno sociale che annualmente portano avanti con passione nel loro barrio.