lunedì 8 marzo 2010

Partire è un po' morire...ma pure annunciare una partenza troppo in anticipo non ti lascia illeso...

Strana sensazione...ho cominciato a parlare della nostra "partenza" circa 9 mesi fa…a volte penso che è come se fossimo già partiti per decine di volte.
Colto da un entusiasmo forse ancora un po' romantico (e qui faccio notare che è iniziata la mia dissertazione al singolare), annunciavo la mia dipartita (che credevo imminente), con un fare confidenziale, agli amici più amici!
Poco dopo ho iniziato ad annunciare la cosa fra i vari ranghi della famiglia, poi la notizia si è allargata agli amici degli amici, poi agli amici di famiglia ed infine, se non erro, a tutta una sfilza di conoscenti di vecchia data, ma anche adottati per l’occasione.
“Partire è un po’ morire”…sosteneva Edmond Haracourt nell’omonima poesia…a me vien da pensare che pure “annunciare una partenza” non ti lascia illeso…soprattutto se questa partenza si fa attendere a lungo.
Le frasi ed i pensieri di solenne commiato si sprecano…promesse di feste colossali, bevute amichevoli, week-end di pseudo-addio, voci si intrecciano, notizie si mischiano, eppure tutto rimane ancora ed ancora li sospeso, in attesa del momento propizio, tutto è confuso, perchè l'immaginario prende forma, ma non ancora concretamente, non conclude la sua gestazione, il nono mese non arriva, o perlomeno ci mette un sacco ad arrivare:

- Raga avete sentito che Matte PARTE?-
- Ma è da parecchio che sta per partire no?-
- Ma cosa importa, alla fine parte per davvero!-
- Sarà,io non ci capisco più niente…lo vedo tutti i giorni ma già mi manca!-


Forse è così che va’…partire è un po’ morire…ma annunciare una partenza troppo in anticipo significa incasinare un po’ le idee degli amici, dei parenti e dei conoscenti…e allora chi lo sa…forse era meglio che me ne stavo zitto fino alla fine del fatidico luglio del 2010…poi organizzavo una maxi adunata e davo l’annuncio…allora avrebbe avuto luogo un tripudio di frasi di saluto, abbracci, lacrime, scherzacci memorabili…tutto li bello concentrato e chiaro come l’acqua!
Tutto li bello concreto, manifesto e degno di esserlo!
Non mi resta che filosofeggiare su questa attesa…che in effetti anche qualche bel merito ce l’ha. Prima di tutto mi ha permesso di annientare, o perlomeno domare, quella sorta di romanticismo che mi aveva colto inizialmente. Devo ammettere, ad esempio, che solo in minima parte sto vivendo questa attesa come il preludio di un grande viaggio…personalmente vedo la cosa come una nuova esperienza professionale...una profonda possibilità di scambio e di cooperazione internazionale…che immancabilmente mi rovescerà addosso gioie e frustrazioni…così come accadrebbe se trovassi un nuovo lavoro alle nostre latitudini.
L’attesa mi ha pure permesso di partecipare a dei corsi formativi organizzati dalla FOSIT (Federazione delle ONG della Svizzera italiana)…durante i quali ho imparato molte cose…come ad esempio che, anche in ambito di Organizzazioni Non Governative, “ogni cazzata nasce da un buon proposito”. Questa criptica frase, condita da una volgarità a buon mercato, per me a dirla tutta significa molto.
Prima di una partenza come quella che sto affrontando, è molto interessante passare in rassegna aspetti di criticità che rendono meno scontate alcune cose che si danno per scontate. Uno dei concetti che da tempo, anche grazie alla mia formazione, ho imparato a relativizzare e a guardare con sospetto, si chiama: “FARE DEL BENE”. Fare del bene è indispensabile in questa vita, non vorrei essere frainteso…è certo però che fare del bene può voler dire moltissime cose...cosa può significare ad esempio “fare del bene” in una relazione di coppia? Gli esempi si sprecano. Cosa può significare “fare del bene” nell’ambito del volontariato? Personalmente non lo so. A volte cerco di immaginarmi la mia figura inserita nel contesto di Cochabamba…e cerco di immaginarmi anche in che modo potrei ritrovarmi ad essere utile…ma è difficile…perché ancora non conosco la cultura e non riesco a figurarmi, neppure mentalmente, quali aspetti dell’ “utile” potranno accomunare la mia persona e le persone che incontrerò. L’unico pensiero che riesco a strutturare, riguarda il grande desiderio di imparare cose nuove del mio lavoro…già, forse è proprio così…io non parto per fare del bene, o per offrire le mie risorse, o perlomeno non solo. Parto, ad esempio, per imparare, per capire come plasmare la fiumana di nozioni che ho acquisito durante l’università…parto perché voglio vedere come si fa a fare l’operatore sociale di strada in Bolivia, a Cochabamba, non saprei ancora dire in quale quartiere…e parto perché vorrei tornare e vedere se riuscirò, grazie a questa esperienza, a rendermi più utile qui in Ticino. Parto sperando di poter raccontare a qualcuno, con cui farò amicizia, di come si vive qui in Svizzera, di quali sono i paradossi principali della nostra nazione ma anche di quali sono le nostre grandi forze, i nostri grandissimi privilegi...si...forse attualmente il vocabolo "scambio" rappresenta la chiave dei miei ragionamenti.

Fra le diverse cose belle che questa lunga attesa mi sta dando, c’è anche la metafora della valigia…ma come non la sapete? Per farla breve…prima di partire uno deve decidere se vuole andare via con la valigia piena o vuota…e poi eventualmente, deve pure decidere "piena o vuota" di cosa…non è un esercizio facile…perché io ad esempio…voglio partire con la valigia vuota di vestiti e di oggetti domestici…ma piena di strumenti teorici e chiavi di lettura…e non riesco a capire cosa pesa di più.

Facciamo che per ora mi concentro con Nicole, sull’organizzazione della serata informativa (venerdì 30 aprile) e di una bella grigliata per il mese di giugno…per tutto il resto c’è tempo.

Ciao a tutti, un abbraccio,
Matteo