martedì 23 novembre 2010

Los Perros

Foto: Autunno
Autrice: Alba Crivelli


Cochabamba freme, formicola sotto ad un sole cocente. Le persone, indaffarate ognuna nel proprio universo, danno quotidianamente vita ad un teatro di voci, odori, movimenti imprevedibili, scene di quotidiana follia, o di abitudinaria frenesia, che dir si voglia. Cochabamba è come un formicaio, contaminato di vita urbana, dove tutto si muove, ogni cosa, ogni persona, si divincola nel suo spazio. La specie umana, usando gambe, braccia, denti, sguardi, veicoli, documenti, soldi, arnesi, armi, è ogni giorno regista di se stessa, o vittima di se stessa; in ogni caso nutre la presunzione di dominare questa terra. Certamente le donne e gli uomini hanno costruito queste strade, questi edifici, ne occupano gli spazi, la loro presenza ha un forte impatto sull’ambiente; ma in quanto a godersela la città, bhè, non per essere discriminante, ma ultimamente mi sta interessando molto di più il punto di vista dei cani…esatto, proprio dei cani.

Cochabamba è piena di cani: randagi, semidomestici, domestici in libertà vigilata, puramente casalinghi, da guardia, ce n’è di ogni tipo, di ogni professione. Spesso le aggregazioni di cani, che si incontrano per le vie o nei parchi, possono raggiungere decine di esemplari ed è molto interessante osservare le loro regole interne. Anche loro, come gli uomini, usano le sanzioni o i premi all’interno dei gruppi, a seconda del comportamento del singolo; anche loro giocano, litigano, si feriscono. I cani sono ovunque ed io li osservo come se fossero una subcultura, come se fossero un movimento clandestino. Durante le ore dell’alba, prima che le strade si gremiscano di motori, i cani si organizzano, cercano cibo, setacciano la città, è fanno impressione alcuni branchi, numerosi e agitati, si aggirano come se l’uomo non esistesse, in quelle ore non ne hanno paura.

Non si prendono la testa per la politica, per i soldi, per il lavoro o per il clima. Cascasse il mondo loro se ne starebbero li, con in testa solo istinti o qualche ricordo. Muore un Clefero per strada, vince il mondiale la Bolivia, si esaurisce per davvero il petrolio, sparano a un politico molto potente, ma i cani se ne stanno li, a rovistare nella spazzatura, a cercare di accoppiarsi, a mordersi la coda.

Alcuni sono piccoli e incazzosi, come quei tre che mi hanno attaccato quella notte; altri sono atletici e dominanti, sempre in giro con uno sguardo divertito, anche se a volte fanno paura; altri sembrano hamburger per tutte le cicatrici collezionate; altri ti seguono elemosinando affetto o cibo, fino a che non li scacci via facendo finta di raccogliere una pietra. Ognuno ha la sua espressività ed il suo ruolo nella società dei cani. Osservarli mi rilassa, ogni tanto porto loro del cibo avanzato, spesso penso che non ci perdono molto a non aver sviluppato la parola, o un opinione relativa alla società degli uomini.

Vorrei concludere questo breve testo rassicurandovi, non sono impazzito, per ora penso ancora che il mio posto sia fra gli uomini.

Un abbraccio

Matteo

sabato 6 novembre 2010

Tradizioni: la k'oa


La k’oa è un riutale rivolto alla Pachamama (Madre Terra) che solitamente viene fatto ogni primo venerdì del mese, oppure in occasioni speciali, come l’acquisto di una nuova casa o ufficio, di una nuova macchina, ecc.. Durante il rituale un uomo ed una donna (solitamente i proprietari della casa dove si svolge la k’oa) bruciano lentamente, sopra del carbone, un foglio di carta sopra il quale sono posti differenti oggetti (farfalle, rane, foglie, uomini e donne, fili di lana colorati, ghirlande, ecc.); questi ultimi hanno tutti un proprio simbolismo specifico e sono costruiti in miniatura, appositamente per l’evento, con erbe aromatiche e zucchero. I celebranti versano alla Pachamama
dell’ alcool ai quattro angoli della k’oa in senso antiorario, e così fanno successivamente tutti i partecipanti alla cerimonia o chi lo desidera; alcuni esprimono inoltre a voce alta i loro auspici e desideri relativi al soggetto della celebrazione.

Si può celebrare il rito della k’oa in maniera intima, ma solitamente è un’occasione per far festa,
e così abbiamo fatto anche noi ieri sera, venerdì 05 novembre.

Per preparare la celebrazione siamo andati alla cancha. La signora che ci ha serviti innanzitutto ha voluto sapere per quale evento avremmo k’oato; dopo avergli raccontato brevemente i nostri auspici, la donna ha preparato con attenzione e meticolosità la nostra k’oa (ovvero il foglio di carta sopra il quale sono posti i vari oggetti). Infine ci ha suggerito di acquistare anche un feto di lama, poiché questo avrebbe garantito quasi sicuramente la buona riuscita della celebrazione. Cortesemente abbiamo rifiutato la proposta ma le abbiamo chiesto comunque maggiori spiegazioni in merito.

Il tutto parte dal fatto che spesso i lama hanno degli aborti spontanei; per la cultura andina è molto importante l’anima che vive in ogni corpo. Secondo la credenza l’anima dei feti di lama è persa (perché senza corpo appunto) e non può per questo motivo tornare utile alla Pachamama. Incenerendo un feto di lama (o per chi non lo desidera si può fare solamente con gli oggetti citati in precedenza) si può simboleggiare il ritorno dell’anima del piccolo lama ai normali flussi della Madre Terra; il rituale permette all’uomo di far tornare un’anima alle sue origini, e di fare un favore così alla Pachamama; per questo motivo, l’uomo può permettersi di chiedere qualcosa in cambio (buoni auspici, fortuna, ecc.).

Ogni primo venerdì del mese è suggestivo passeggiare per le strade di tutta la città; ovunque si può sentire ed apprezzare il forte profumo della k’oa, lasciato dagli aromi con i quali sono costruiti gli oggetti simbolici e dalle foglie di coca.


Tradizioni: il cimitero di Tarata






Come forse avrete già sentito o letto, le festività relative ai defunti in Bolivia sono molto sentite.
La tradizione vuole che i famigliari delle persone che sono venute a mancare, durante il giorno di Tutti i Santi, preparino “la mesa” (la tavola). “Poner la mesa” in gergo significa preparare o cucinare derrate alimentari, solitamente semplici, che piacevano alla persona defunta quando era ancora in vita. Il cibo è composto in prevalenza da pane fatto con forme differenti, ma simboleggianti il trapasso, come ad esempio: la scala, la croce, il morto nella bara. La credenza dice che nel giorno di Tutti i Santi, precisamente alle ore 12:00, le anime tornano a far visita ai propri cari. È un grande piacere per gli spiriti, trovare la propria ex-abitazione o la propria attuale tomba, guarnita con pietanze, alcool, fiori e colori. Il giorno successivo è una ricorrenza altrettanto importante: la festa dei Morti. Durante questa festività, conosciuta in tutto il mondo, in Bolivia si dice che le anime debbano prepararsi per ritornare al riposo (sempre alle ore 12.00), per accomiatarsi serenamente dai propri defunti, i famigliari offrono loro preghiere e musica, ma la “cerimonia”, in questo caso, diventa pubblica. Ecco dunque che case e cimiteri si aprono ad altri famigliari, conoscenti, amici o forestieri.

Le famiglie sono li, vicine alle loro anime, attorno a tavole imbandite, oppure, qualora celebrassero la cosa direttamente al cimitero (e la maggior parte lo fa), vicini a pietre tombali altrettanto imbandite, circondati da ghirlande e fiori. I colori con i quali si decorano le tombe, possono dipendere dall’anima che viene a far visita (adulto, bambino, donna, sposato, ecc.). Le famiglie sono li, con le loro anime, alcuni piangono, alcuni ridono, altri pregano, altri bevono. I colori prevalenti sono il nero, il viola, il rosso; gli aromi che spiccano sono quelli dell’incenso, della cenere, dell’erba secca bruciata, dei fiori più profumati. Le persone che desiderano omaggiare i defunti, ma che non sono famigliari, vanno di casa in casa, o di tomba in tomba, pregando, cantando, suonando. Per le famiglie e, così si dice, per le anime, questa cosa è fondamentale al fine di congedarsi adeguatamente fino al prossimo anno. Spesso sono le famiglie stesse che invitano gli altri a pregare sulle lapidi e questo in cambio delle cose che si trovano sulla “mesa”: cibo, alcool e soldi.
Gruppi di bambini ad esempio, si preparano le preghiere e durante il giorno dei Morti si recano al cimitero; pregano e ricevono cibo e monete per tutto il giorno. Un altro esempio è rappresentato da piccoli gruppi di musicisti, molto richiesti nei cimiteri. Suonano e cantano canzoni adeguate per la ricorrenza, mangiando e bevendo con i famigliari dei defunti.
Il clima è festoso, nonostante la palesata sofferenza di alcuni nuclei famigliari e a volte, l’abuso di bevande alcoliche.
Quando abbiamo saputo che durante questo giorno, nei cimiteri, la presenza di musicisti (uguale di che livello) è molto richiesta, abbiamo pensato che partecipare attivamente alla festività in questione, sarebbe stato un modo per vivere più approfonditamente la celebrazione più importante dell’anno, contribuendo in prima persona alla “despedida” (il saluto fra famiglie e anime). L’amico Christoph, Nicole ed io ci siamo allenati per un paio di giorni con la voce, la chitarra ed il charango (piccolo strumento a corde simile al mandolino o all’ukulele); Henry, Johannes e Ronja (altri volontari), avrebbero fatto presenza, aiutandoci nel canto.
Nella piccola cittadina di Tarata (40 minuti di auto fuori città), la festività dei Morti è famosa in tutto il dipartimento di Cochabamba, molte persone si recano in questa località e il cimitero diventa qualcosa di realmente suggestivo. Noi componenti del gruppo di forestieri, siamo arrivati a Tarata molto presto al mattino, per avere il tempo di far due passi fra le coloniali vie e conoscere qualcosa in più di questo pueblo (letteralmente significa “popolo”), così vengono chiamate le piccole comunità al di fuori città). Verso le dieci del mattino abbiamo fatto il nostro ingresso nel cimitero. Inizialmente avevamo un po’ di paura, pensavamo di non essere accettati, di rappresentare una specie di concorrenza non gradita per altri gruppetti di musicisti (peraltro molto più bravi di noi), di essere visti come curiosi. Queste paure sono svanite dopo cinque minuti, quando la prima signora ci ha chiesto di suonare sulla tomba del padre defunto.
-Cosa suonate?-
-Roba semplice signora, il nostro repertorio è composto da una canzone in spagnolo, una in italiano e una in svedese- Rispondo con tono pacato e cortese.
La signora strabuzza gli occhi per la meraviglia e subito mi rivolge la fatidica domanda.
-Quanto volete?-
-Nulla signora, ci piacerebbe però conoscere la storia del defunto-
-Bene seguitemi-
Dopo quel primo contatto, ci siamo resi conto che non esisteva discriminazione o concorrenza nel cimitero di Tarata. I gringos erano benaccetti ed anzi, la nostra presenza divertiva. Abbiamo suonato praticamente tutto il giorno ininterrottamente (sempre le stesse 3 canzoni: meglio andare sul sicuro che fare figuracce o offendere per la scarsa qualità della musica, ci siam detti); le richieste arrivavano regolarmente e quasi tutte le famiglie ci hanno raccontato qualcosa dei loro defunti, in cambio non abbiamo mai chiesto nulla, ma chiaramente è stato impossibile rifiutare le piccole offerte di pane e chicha (fermentato di mais).