mercoledì 1 dicembre 2010

Tragicomica Bolivia 2

Chissà, forse l’unico modo che trovo per parlare di certe cose è questo: buttare le ossa su un divano duro, in compagnia di una birra acquosa e scrivere storielle che potenzialmente fanno sorridere. Forse non è l’unico modo possibile, ma me gusta, mi diverte…se poi ci sia effettivamente da ridere, questo si può mettere in discussione, sono il primo a farlo.

La formula la conoscete (vedi post precedenti), ho concentrato diversi aneddoti in una sola giornata, pertanto la storia è semi inventata, ma basata su fatti realmente visti o accaduti. Eccovi dunque la seconda peripezia.

Quel mattino, il giovane e volonteroso volontario Matteo, stava blandamente sorseggiando un caffè poco convincente. Anche se da fuori non sembrava, nella sua testa si urtavano un sacco di pensieri, da poco aveva accettato un nuovo incarico; era diventato il responsabile del personale volontario della Fondazione per la quale lavorava. Questo comportava soddisfazione e nuovi interessi, ma anche responsabilità e una superiore mole di lavoro.

“Bravo, Matteo, bravo, grazie”, gli dicevano tutti. “Piano, con, la legna, verde”, pensava lui celando il rimorso con sorrisi di lama.

Finì il caffè e contemporaneamente aprì il giornale; subito si incuriosì un po’ per un articoletto che si trovava lateralmente rispetto alla pagina. Il testo diceva che in un quartiere periferico di Cochabamba, alcuni abitanti avevano diffuso la voce che un altro uomo, anch’esso abitante della zona, era uno stregone. L’uomo inizialmente non ha negato, anzi, si è sentito d’improvviso potente ed influente. Pochi giorni dopo la diffusione della notizia, un anziano del quartiere si è ammalato…e gli abitanti hanno incolpato il presunto stregone. A questo punto lo “stregone di fama” ha iniziato a negare la sua identità fittizia, ma troppo tardi, ormai la credenza si era instaurata e diffusa nel quartiere periferico. Gli abitanti hanno decretato, in un’opera di Giustizia Comunitaria (molto usata in tutta la città), che se il vecchio fosse morto per la malattia in corso, lo stregone sarebbe stato giustiziato nel modo in cui la tradizione prevede. Lo stregone di fama si è appellato alle autorità, ha urlato per strada di non essere quello che tutti pensavano che fosse. Il problema è che dopo un mese di infermità, l’anziano è deceduto. Lo stesso giorno gli abitanti del quartiere hanno scavano una fossa e ci hanno seppellito dentro lo stregone vivo, così come vuole la tradizione.

Matteo non era più incuriosito dalla cosa, ne era totalmente sconvolto, sentiva il caffè che voleva tornare su dallo stomaco; si convinse in fretta che mai avrebbe lasciato credere ad altri di essere ciò che non era.

La notizia esercitò l’effetto di un brutto sogno, ci volle un po’ per smaltirla.

Comunque dopo aver richiuso il giornale Matteo salutò Nicole ed uscì di casa. Un trufi numero 130 sarebbe passato di li a poco. L’audace volontario attendeva sul marciapiede, a pochi metri un gruppo di circa 30 cani lo osservava probabilmente interessato alle sue polpose natiche. In lontananza Matteo scorse in avvicinamento, una specie di macchina da “ritorno al futuro”, una specie di bolide anni ottanta che stava detonando scorregge realmente disturbanti a quell’ora del mattino. Ebbene si, quell’obbrobrio era il trufi che stava aspettando.

“Bene, la linea 130 ha fatto nuovi acquisti”, pensò. La turbottanta si avvicinò, fermandosi al cenno di Matteo. Gasava esageratamente, puzzava esageratamente, vibrava esageratamente. Nell’atto di entrare all’interno della turbottanta il volontario si rese conto che ci stavano solo 3 persone oltre al conducente. Ma come può un veicolo di soli 3 posti passeggero, diventare un mezzo pubblico della linea 130, gestita in parte dal comune di Cochabamba?. Chiuse la porta e si sentì come se stava andando in discoteca con altri 3 amici gasati. Il conducente era un tipetto tracagnotto, eccitato e ingellato, muoveva la testa a ritmo di una cumbia versione metal, a Matteo fece schifo…non la cumbia. Il trufi partì ed allora fu chiaro che al tipetto piaceva la velocità. Al primo semaforo fu chiaro anche perché l’autista gasava così tanto quando l’auto era ferma o rallentava…il minimo del motore non reggeva e senza gas l’auto si spegneva…durante il tragitto si spense una quindicina di volte e ogni volta era una faticaccia dell’ingellato per riavviarla. Non era poi sto gran bolide. Il pezzo forte era un pulsante installato sotto al pomello del cambio, una specie di contatto elettrico che il tracagnotto azionava quando avvistava belle ragazze…ebbene si, la turbottanta emetteva il classico fischio di sessuale apprezzamento: fi-fiiuu. Matteo era sbalordito, ma in fondo anche un po’ divertito dalla cosa.

Il volenteroso volontario arrivò in ufficio puntuale, dunque tirò fuori la crema solare, se la cosparse su braccia e volto e si piazzò spaparanzato su un prato adiacente per abbronzarsi un po’, di tempo ce ne sarebbe stato e il sole del mattino era perfetto. Mezz’ora dopo giunsero gradualmente gli altri componenti dell’équipe di educatori di strada…dopo gli scambi verbali di rito montarono sul furgoncino e si direzionarono verso il covo dei ragazzi dell’Avenida America (vedi post precedenti). Matteo aveva imparato a guidare a Cochabamba, diventando anche l’autista ufficiale della sua équipe, la cosa lo rilassava, la guida in quella città era caotica, ma molto creativa e fantasiosa, solo gli artisti facevano respirare il proprio monossido agli altri. Quasi nessun boliviano aveva la patente, costava troppo e i mezzi di strasporto erano ovunque.

Arrivati al tunnel dentro al quale dormivano i Cleferos, il giovane educatore si sporse per salutare i membri della banda, che ormai conosceva da quasi 4 mesi.

“Buongiorno amiciiiiii, andiamo all’attività di oggi?” disse forte ma con tono conciliante.

“Vas a la mierda Gringo de mierda!” fu la prima risposta che tagliente uscì dall’oscurità, urtando il simpatico volontario nell’animo.

Matteo aveva riconosciuto la voce, era Gregory (i nomi sono fittizi), famoso per essere lunatico.

Gregory usci a passo spedito dal tunnel pochi istanti dopo, si stava facendo, andò incontro a Matteo e lo abbracciò. “Hola amico, come ti va oggi? Andiamo all’attività dai” disse come se nulla fosse.

“Claro que si”, pensò l’educatore increspando appena la bocca e sbarrando un po’ gli occhi.

Il “cipolla” (vero soprannome) uscì anche lui dal tunnel; era un ragazzo sulla ventina magro magro e sempre in pista con la colla. Era diventato amico di Matteo perché entrambi amavano le arti marziali. Il cipolla saltò sulla schiena dell’educatore, gli stropicciò i capelli, gli sfregò la faccia con le mani, gli fece solletico. Matteo apprezzava i gesti affettuosi del giovane tossicodipendente, senza però potersi scordare del fatto che il “cipolla” era stato ribattezzato con quell’appellativo, proprio perché come la cipolla, puzzava fino a farti lacrimare. Matteo sorrideva al cipolla, ma nel suo stomaco il caffè riprese ad animarsi, soprattutto quando notò che quel giorno il clefero, aveva deciso che il naso si soffiava direttamente nelle mani.

“Meglio non indagare su cosa mi ha lasciato fra i capelli” pensò affranto il volenteroso volontario.

La terza persona ad uscire dal tunnel fu Ellis, una ragazzina di tredici anni da poco arrivata sulla strada. Normalmente quando una ragazza nuova si vuole aggregare ad un gruppo, deve fare dei favori ai leader maschi, Ellis era proprio in quella fase, ma stava vivendo la cosa come un’avventura. Dopo alcuni scambi con Matteo Ellis se ne uscì con la seguente affermazione:

“A me piace un sacco stare qua amico…solo sono un po’ tanto preoccupata per Ale (altra componente che ancora stava dormendo nel tunnel con sua figlia); ho paura che vengano le autorità e le portino via la bimba, perché è troppo piccola per stare in strada”

“Ragazza, se le autorità arrivano la prima che portano via sei tu, tredicenne e sessualmente sfruttata” disse Matteo senza riuscire a trattenersi o ad essere un po’ più diplomatico e pentendosi di ciò.

Ellis sgranò gli occhi e disse “Hai ragione!!!”. Bene, nessun danno morale.

Gli educatori con una decina di ragazzi, si recarono ad un parco molto bello che si trovava nelle vicinanze, l’attività si svolse senza particolari attriti.

La giornata lavorativa di Matteo volgeva al termine, come spesso capitava era stata abbastanza provante. Salutò i colleghi e decise di fare due passi al mercato principale, la Cancha (vedi post precedenti). Rimase molto colpito da una fila di circa venti uomini. Tutti erano li in attesa di qualcosa, questo si notava, ma non era facile capire di cosa. Solo dopo aver visto un particolare Matteo si rese conto della reale situazione. Ogni uomo aveva davanti ai piedi una valigia da lavoro in cuoio, ogni valigia indicava una scritta differente a caratteri cubitali: giardiniere, idraulico, vetraio, falegname, cuoco, elettricista, muratore, carpentiere, macellaio…

Gli uomini aspettavano il lavoro, si, le persone potevano passare in auto e caricarsi qualcuno di quei professionisti per portarselo a casa in cambio del suo onorario. Matteo pensò che i Boliviani non erano affatto ipocriti in merito alla tematica del lavoro nero, tutt’altro, molto sinceri ed aperti.

Stava arrivando la sera quando Matteo decise di tornare a casa, dopo il viaggio saltò giù dal trufi e camminò verso il cancello esterno della sua abitazione. Proprio li vide Nicole avvicinarsi a sua volta, insieme dunque entrarono e si diressero verso la porta della casa. Con sgomento e raccapriccio, dopo diversi tentativi, si resero conto che la serratura era morta e che erano rimasti chiusi fuori. Per un paio di minuti si dedicarono alle imprecazioni più improbabili, poi ripresero le funzioni e decisero di chiedere alla padrona della casa il numero di un tecnico delle serrature. Matteo suonò il campanello della donna, che viveva nel suo piccolo condominio, proprio di fronte all’appartamento indipendente in cui risiedeva la coppia ticinese.

“Buonasera signora, scusi tanto il disturbo, necessitiamo il numero di un tecnico per serrature, siamo rimasti chiusi fuori casa”

La padrona di casa non è mai stata famosa per la sua lucidità o per la disponibilità, ma la risposta che diede quella volta fece morire qualcosa nella parte speranzosa dell’animo del giovane volontario.

“Come? Ma scusa non può aprire la tua ragazza da dentro? Oppure non potete entrare dalle finestre? Tanto è a pianterreno!”

Ci furono circa cinque secondi di silenzio, la signora volendo avrebbe addirittura avuto il tempo di rendersi conto della blasfemia appena pronunciata…ma nulla.

“Signora, le spiego, io e la mia ragazza siamo chiusi fuori casa, lei non è dentro, anche perché se no la porta l’avrei trovata aperta e in ogni caso, mi avrebbe potuto aprire una finestra, visto che siamo a pianterreno. Inoltre le finestre sono chiuse da dentro e la mia ragazza non è dentro, è fuori con me”

“Ok, allora vuoi un numero di un tecnico…peccato però spendere soldi per un tecnico se ci sono delle alternative”

“Signora molto gentile grazie…preferiamo un tecnico, ormai preferiamo…che dire…un tecnico, per le alternative meglio un’alta volta”.

“Certo certo capisco”

Il tecnico arrivò circa un’ora dopo, nel frattempo Matteo e Nicole rimasero seduti sul marciapiede fuori casa, la serata era tranquilla, si sentivano i grilli nel parco, il cielo era terso e una brezza rilassava gli animi.

I due si stavano raccontando le rispettive giornate a vicenda, si dicevano delle soddisfazioni provate e delle miserie osservate, quando una specie di visione comune li lasciò allibiti. Con un rombo di tuono realmente abominevole sbucò dall’angolo della strada, venendo in loro direzione, una vera e propria AUTO DA FORMULA1!!! A bordo c’era uno sulla sessantina che sembrava europeo o americano, ma che avrebbe benissimo anche potuto essere argentino o qualcosa del genere. Il tipo si stava facendo un giretto per Cochabamba sul suo giocattolino, magari era la sua auto numero quindici o roba simile, sta di fatto che, al di la delle congetture della giovane coppia, l’auto sfrecciò davanti ai loro occhi e sparì nella notte con un lamento di benzina che arde. I due rimasero muti, entrambi guardando nella direzione in cui un attimo prima c’era l’AUTO DA FORMULA 1!

“Tu l’hai vista?” Chiese Nicole a Matteo.

“Sisi”

“Non ti pare un po’ paradossale come possedimento, qui in Bolivia?”

“Sisi”

Che dire, le giornate in Bolivia, riuscivano sempre a stupire in qualche modo.

Alla prossima peripezia.

Un abbraccio

Matteo

6 commenti:

  1. Che dire....sempre apprezzato il tuo modo di raccontare,tra fantasia e realta.....piu fantasia piu realta....chissa.....?
    un ABBBRRRACCIONE

    Mariagrazia

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  2. Ahaha spettacolare :D che sia realtà o fantasia è una gioia leggere le tue avventure e immaginarti mentre accadono! Certo che ovunque vai la vita sa essere davvero ironica e non smette mai di sorprendere. Ti mando un sorriso!

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  3. mi sorprende che guidare a cocha ti rilassi. e avrei voluto esserci nel momento in cui passava l'auto F1 e in pochi secondi spariva all'orizzonte, avrei voluto esserci.
    se sviluppi ulteriormente questo stile, darai del filo da torcere a lansdale.

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  4. sempre emozionante leggere i tuo racconti di vita reale...
    con affetto Nerina

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  5. Credetemi...e tutto reale...!! Solo che sono cose che accadono in piu settimane...e io le concentro in un giorno solo.
    Grazie a tutti per seguirci cosi fedelmente...un abbraccio. Matteo e Nicole

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