domenica 5 settembre 2010

Capitani dell'asfalto - I Cleferos dell'Avenida America


“Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa, che viene a prendere l'affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. Credo che un'Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa. Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio. Credo che se mai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con trecento mila al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose. Credo che c'ho un buco grosso dentro, ma anche che, il rock n'roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri.”


Non so precisamente il perché…ma questo indimenticabile, tragico, breve, efficace monologo (recitato dall’indimenticabile Stefano “Ivan Benassi” Accorsi, durante l’indimenticabile 1998, nell’indimenticabile film “Radiofreccia”, di Luciano Ligabue) è in grado di mantenermi lucido e reattivo in ogni giorno di lavoro.
Mi capita di vedere qualcosa, o di sentirlo, o anche solo di annusarlo…e mentalmente il monologo parte, in automatico. Non è tanto che questo monologo lo rivolgo a me stesso…piuttosto, secondo i miei attuali sistemi mentali, il monologo rappresenta bene la condizione di vita delle persone con cui lavoro…cioè le persone che stanno vivendo in strada nella città di Cochabamba, qui in Bolivia, qui nel mondo.
Secondo me il monologo dice, spremendo il tutto, che non fa stato quanta voglia hai di credere in cose ultratterrene, di sperare, di avere opinioni argomentate e raffinate, di far valere i tuoi diritti di cittadino degno e benestante; non fa stato il tuo pensiero astratto, il tuo intelletto, la tua anima, se prima non hai saputo fare i conti con le piccole cose dell’esistenza, se prima non hai saputo accettare e giocare con le cose della vita di tutti i giorni, se prima non sei diventato un maestro, un professionista informale della quotidianità. Sono confortato dal fatto che un pezzettino della cultura che maggiormente mi appartiene, per intenderci nulla di esotico secondo i nostri canoni, abbia la facoltà di starmi vicino qui, dall’altra parte del mondo, ricordandomi che io non sono di qua, che gli strumenti che possiedo per analizzare questa realtà, in questo caso la cinematografia d’autore italiana, vengono da una regione geografica e da una cultura ben definite, a me molto vicine, in tutto e per tutto.
Tornando al monologo: forse la penso così perché in questo periodo associo le parole scritte all’inizio di questo post, alla vita di persone che ogni giorno si dimostrano maestre della sopravvivenza sulla strada…persone che con dedizione forse inconsapevole, ogni giorno sanno inventarsi il cibo, il lavoro, le relazioni, gli affetti....ma facciamo un passo indietro.
Circa una settimana fa ho conosciuto il Panchita, dinamico, sempre al lavoro con la sua maglietta dell’Argentina; il Palito, introverso e serio come pochi; il Botas, il capitano della banda, gran oratore; il Gato, che si stupisce di tutto; il Negro, che non la smette più di farmi domande sull’Italia, perché non si capacita del fatto che sono svizzero ma non parlo tedesco. Sono solo alcuni dei ragazzini che vivono sulla drittissima Avenida America, una delle arterie stradali principali della città. E così sono loro i Cleferos…i temuti capitani dell’asfalto di cui tanti parlano…i respiratori di clefa (colla da scarpe)…che quando si fanno dicono di “volare”, e che il preziosissimo flaconcino in pvc contenente la clefa lo chimano “el vuelo”, cioè “il volo”. Non è mia intenzione fare del “voyeurismo” o di farvi commuovere, non pubblicherò foto di volti con occhi taglienti…qui stiamo parlando di persone con una dignità ben maturata, che non accettano la carità, che non sono i pazienti di nessuno, che attualmente si trovano in strada per una convergenza di fattori. La droga li aiuta a “non sentire” nel senso lato del temine…e probabilmente anch’io sarei andato a comprarla da qualche calzolaio spacciatore, se mi fosse capitato di dover lasciare o perdere tutto da bambino, in una città come questa.
Quello che vorrei, invece, è farvi conoscere maggiormente questa realtà che solitamente vediamo nei documentari o nei film. Vorrei proporvi alcuni aspetti critici di queste comunità, soffermandomi un po’ sul funzionamento sociale dei Cleferos…che, da qui la scelta del titolo, mi ricordano molto una banda che ho conosciuto in un libro molto bello: “Capitani della spiaggia” di George Amado…se non l’avete già fatto leggetelo prossimamente. Non vorrei essere frainteso, nella vita delle persone che ho conosciuto in questa settimana non c’è nulla di romanzato o romantico, però il libro in questione parla con un realismo molto rispettoso, sottile ed oggettivo, della vita sulla strada di bambini e adolescenti.
A Cochabamba ci sono diverse bande di Cleferos, alcune sono più pericolose ed aggressive, altre più laboriose e vivaci, altre ancora composte da persone più adulte con i loro neonati; le ho conosciute quasi tutte, ma quella che ho frequentato maggiormente in questa prima settimana di lavoro è la citata compagnia dell’Avenida America.
Vivono in un tunnel che fa parte di un torrente artificiale in secca, il condotto è fatto di cemento armato e il tunnel passa sotto ad un’altra Avenida imporante molto vicina e parallela alla citata America. Il tunnel li protegge dalla pioggia, dal freddo e dal sole cocente, inoltre è prossimo al loro posto di lavoro.
Ogni mattina il gruppo si sveglia e va a lavorare nei pressi dei semafori e delle rotonde più trafficate dell’Avenida America. Ogni membro possiede e mantiene gomma e spugna, fondamentali per la pulizia dei vetri delle auto che si fermano per brevi momenti alle intersezioni. Ho sentito dire che Cochabamba è la quarta città più inquinata del Sud America, non so se è vero, ma sta di fatto che di auto ce ne sono davvero a migliaia…i cosiddetti Cleferos hanno saputo il fatto loro…di lavoro ce n’è in abbondanza e ogni conducente che accetta di farsi pulire il vetro sgancia una monetina, solitamente da un boliviano. Il ricavato è molto utile al gruppo, o ai singoli membri, servirà infatti per l’acquisto di cibo e clefa, i carburanti basilari. Un pane dolce poco elaborato può costare 0.50 centesimi di bolivanos, mentre la clefa, che è considerata la droga “mas barata” (più a buon mercato), costa 10 bolivianos al flacone. Ogni flacone contiene indicativamente 1dl di materia e le sue esalazioni possono durare per ore. La clefa, come accennato, si può reperire da veri e propri calzolai che vogliono arrotondare, oppure da spacciatori professionisti.
I ragazzi che ho conosciuto si separano dal loro “vuelo”, solo durante le attività che svolgono con la fondazione per la quale sto lavorando. Solitamente il flaconcino, è tenuto nascosto nella manica di una felpa, in questo modo i bambini e i giovani del gruppo possono volare senza mostrare la droga. L’effetto delle esalazioni prolungate della colla, produce una sensazione di extracorporeità e di estrema leggerezza. Guardare questi giovani volare non è bello, nei momenti di maggiore intensità dell’effetto, il loro sguardo se ne va e lascia spazio ad un’espressione inebetita che dura al massimo per un paio di minuti…la particolarità della clefa infatti è che finché la respiri puoi volare, ma appena smetti l’effetto si rivela effimero...quasi tutti i ragazzi che ho conosciuto fino ad ora comunque, sono in grado di comunicare e reagire più o meno normalmente anche mentre stanno volando.
Nel gruppo dell’Avenida America ci sono alcune coppie e alcuni ragazzi sono già genitori, i loro figli durante il giorno vengono regolarmente curati da professionisti della fondazione, che ricevono i neonati in una casa appositamente preparata per poterli lavare, far giocare, nutrire ed istruire. I genitori accettano di buona lena questo tipo di collaborazione, rimangono comunque molto gelosi ed orgogliosi dei loro figli e della loro genitorialità, questo nonostante gli episodi di negligenza siano frequenti.
Ai Cleferos dell’America piacciono da morire il calcio e lo sport in generale. Sono degli ottimi calciatori e hanno una resistenza fisica fuori dal comune; alcuni potrebbero alludere al fatto che la clefa funge da stimolante, ma invece è un po’ il contrario, visto che questa danneggia, oltre al sistema nervoso e le trasmissioni neuronali, i polmoni e dunque la distribuzione d’ossigeno ai muscoli. Il fatto è che questi giovani sono nel fiore dei loro anni…la vita di strada associata al consumo quotidiano di clefa ed alcool comunque, come possiamo immaginare, porta la persona ad un deperimento molto rapido e prematuro sull’arco degli anni. Spesso una persona che consuma clefa per anni, finisce per restare paralizzata, a causa dei danni arrecati al sistema nervoso centrale e periferico.
Da una settimana i ragazzi hanno iniziato un corso di capoeira con il sottoscritto…la cosa è molto informale e piuttosto comica…nessuna delle due parti si sta facendo delle aspettative, però ci si diverte senza farsi troppi problemi, il che non guasta. I Cleferos sono amanti della musica, dei film, delle leggende metropolitante...sono sempre piendi di domande...amano la conoscenza...sono tutt’altro che intellettuali...direi piuttosto che sono una ramificazione del mondo criminale...ma conoscono...e ricordano...possono essere, ad esempio, le migliori guide qui a Cochabamba.
Durante alcune mattine della settimana, i Cleferos vengono invitati da noi educatori a partecipare ad attività pedagogiche o aggregative in luoghi alternativi. L’équipe si impegna a preparare, ad esempio, giochi, stand, sostegno psicologico ed educativo, messe in scena, momenti di dialogo, quiz a premi e ovviamente, in contropartita alla partecipazione dei ragazzi, colazione e pranzo. La maggior parte dei Cleferos fa parecchia fatica a restare concentrata a lungo, però tutti hanno quasi sempre qualcosa da dire in risposta agli stimoli che ricevono. Sono certo del fatto che, al di la dell’interesse che possono manifestare e verbalizzare per le attività pedagogiche e di dialogo, molti di loro non ci seguirebbero se alla fine della mattinata non arrivasse un pasto…il fatto è che in ogni caso ci seguono e partecipano…i compromessi sono importantissimi.
I Cleferos dell’America sono molto religiosi, credono in Dio, in Gesù e nella Madonna, ogni volta che mangiano con l’équipe di educatori di cui faccio parte, pregano prima di toccare il cibo, tengono gli occhi chiusi e aggrottano la fronte, quanto parlano con un Dio lo fanno per davvero. Molti di loro conoscono abbastanza bene la bibbia…altri ne hanno solo sentito parlare…ma tutti ci credono.
A proposito di credere…per concludere torniamo all’inizio? Chissà in cosa possono credere ancora questi giovani? Forse hanno anche loro i loro dei miti locali…calciatori, ciclisti, musicisti…forse credono solo in cose concrete, cose alle quali bisogna adempire per campare, come se anche loro avessero un padrone di casa che suona due volte il campanello ogni primo del mese…forse sognano, come tutti.
Non vorrei darvi l’idea di voler far passare migliori di quello che sono questi ragazzi, parlando tendenzialmente dei loro aspetti positivi…il fatto è che attualmente credo che il vero processo di stigmatizzazione avvenga in maniera contraria…ovvero mettendo in rilievo gli aspetti più drastici, negativi, squallidi, criminali, sporchi, tristi, tossici, travagliati delle loro vite e dei loro comportamenti sociali. Qui a Cochabamba i Cleferos sono odiati e discriminati da moltissime persone ed anche questa cosa può avere la mia comprensione. Non parlo dei Cleferos dell’America, però rapine e furti per mano di bande di ragazzi di strada, sono all’ordine del giorno. È pur vero che l’odio e il ribrezzo da parte della popolazione non aiuteranno un Clefero a venir via dalla strada. Martedì la polizia, ad esempio, ha bruciato con la benzina le stanze di assi, plastica e lamiera e i materassi di una banda che vive su una collina del centro. Sapete, su quella collina prossimamente costruiranno un conservatorio e dunque bhè…le erbacce e la spazzatura vanno bruciate.
Mi vien da pensare che i Cleferos rappresentino un po’ la miseria sociale e materiale che tutti vorremmo fuggire, ma con la quale tutti abbiamo a che fare. Vorremmo farla sparire…forse vorremmo bruciarla, come ha fatto la polizia con le motivazioni del caso che profondamente ignoro. Penso che in realtà i componenti delle varie bande, siano persone che vivono con ciò che hanno ricevuto, sia fisicamente che psicologicamente. Persone che vivono al limite di tutto, che a volte non hanno limiti, persone che soffrono o che fanno soffrire, in un contesto degenerante per la persona. Un mio collega di nome Niko, che ha concluso il suo lavoro questo venerdì, in un discorso finale ai ragazzi dell’Avenida America, ha affermato di non aver mai potuto capire come si possa restare vivi per strada usando clefa, ma di credere fermamente che chiunque ci riesca abbia anche la forza di venirne fuori.
Vi parlerò ancora di come vanno le cose…e credo che molti miei pensieri evolveranno, cambieranno, o si contraddiranno
Ciao Matteo

3 commenti:

  1. Matteo,per la parte di persone di cui tu hai a che fare,sono una realtà molto triste,mi mancano le parole per dare un mio parere,devo riflettere su quello che ha scritto.Ti sono molto vicino e sempre disponobile per qualsiasi richiesta.Un forte abbraccio,tuo papi

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  2. belle parole matte!
    ricordo i discorsi che facevamo al campo di calcio delle strade nazionali sull'esperienza che avreste vissuto e sul fatto che quest'esperienza molte volte fa fare domande banali a chi vi chiede del vostro "viaggio"... beh, sarò banale anche io, ma credo che dopo un mesetto dalla vostra partenza non posso non pensare a come vi vedrò cambiati al vostro ritorno... merito dell'ESPERIENZA! Vi aspetto sin d'ora! :)
    un saluto a tutti e due!

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  3. Il lavoro,l'esperienza,il vostro contributo,il senso del vostro"trasferimento"e iniziato,e evidente,vi state calando nelle situazioni,nella realta nel quotidiano della vita di questi giovanissimi,noi vi sosteniamo da lontano,questo personalmente mi da la speranza di fare una piccola piccola cosa anche per loro.
    Un abbraccio forte forte,beso.
    mariagrazia

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