mercoledì 2 marzo 2011

Intervista Oscar, responsabile del Progetto Coyera-Wiñana

Oscar-Responsabile progetto Coyera (attenzione e prevenzione in strada)

Focus: Progetto Coyera; Relazione con i giovani; Metodologia di lavoro

1. Generalità?

Mi chiamo Oscar, ho 31 anni, sono coordinatore del progetto Coyera-Wiñana, lavoro per la Fondazione “Estrellas en la Calle”. Ho un’esperienza di parecchi anni in tematiche di tossicodipendenza e educazione con minori.

2. Di cosa ti occupi all’interno della Fondazione?

Sono incaricato di gestire il progetto Coyera, che si occupa di seguire persone che stanno vivendo in strada, nonché del progetto Wiñana, che segue nel reinserimento sociale e famigliare le persone che hanno deciso di lasciare la vita sulla strada riuscendoci.

3. Quali sono le caratteristiche del progetto Coyera?

Coyera innanzitutto significa “amico” nel linguaggio “Coba”, ovvero il linguaggio della strada. Lavoriamo con l’attenzione e la motivazione rivolte ai bambini, agli adolescenti e adulti che vivono in situazione di strada. Siamo i primi contatti che per loro possono rappresentare un cambio di stile di vita, siamo il loro inizio qualora loro volessero intraprendere un cambio. Lavoriamo mediante un accompagnamento e un tipo di intervento interdisciplinare, ovvero nelle aree educativa, amministrativa, psicologica, pedagogica, educativa, spesso anche in quella artistica, ludica e sportiva.

4. Il progetto Coyera risponde a delle necessità?

Chiaramente si. Il progetto nasce originariamente (6 anni fa) in funzione delle necessità espresse dalle persone in situazione di strada. Tutt’oggi ogni obiettivo del progetto è elaborato e discusso con i diretti utenti, in base alle loro necessità. Si lavora sulle necessità che esprimono, tentando di tradurle in concreti progetti di vita personalizzati, indirizzati a un cambiamento, a uno sviluppo.

5. Da quali professionisti è composta l’équipe di lavoro?

L’équipe Coyera è una cosa molto bella per me, è l’unica équipe di strada di Cochabamba che è composta in maniera multidisciplinare: è composta da una psicologa, un assistente sociale, una educatrice, una infermiera, un coordinatore e solitamente uno o due volontari, che sono fondamentali per l’andamento del progetto.

6. I ragazzi in situazione di strada riconoscono il ruolo professionale dell’équipe?

I ragazzi e le ragazze non parlano molto di ruolo professionale, non sanno cosa possa significare nello specifico. Loro sanno che noi siamo educatori e amici, come sai ci chiamano tutti “jovenes” o “señoritas”. Chiaramente riconoscono e rispettano l’équipe Coyera, questo anche grazie ai molti anni di esperienza che ormai abbiamo con loro. Riconoscono soprattutto la reciproca relazione di fiducia, empatia, affetto e rispetto che vige fra l’équipe e tutti loro.

7. Personalmente che relazione hai con i ragazzi in situazione di strada?

Innanzitutto è, e deve essere, una relazione molto oggettiva; ogni volta che sto con loro devo pensare a quali sono gli obiettivi del progetto Coyera e a quali sono gli obiettivi personali di ognuno di loro. La cosa fondamentale comunque è il rispetto reciproco. Molti di loro li conosco da quasi dieci anni e questo mi ha permesso di sviluppare relazioni empatiche in maniera molto equilibrata e umana. Posso dire di essere tranquillo, questo nonostante a volte la condotta di alcuni possa influenzare negativamente i rapporti, ma questo fa parte del processo.

8. Quali sono i loro problemi principali?

Come sai noi lavoriamo principalmente sul senso di depersonalizzazione e destrutturazione che loro provano fortemente. Mancano di identità e rappresentazioni sulla propria persona, mancano di autostima e dignità. Una volta instaurata la vita sulla strada, queste persone sono quotidianamente confrontate con dinamiche di violenza, autodistruzione fisica ed emotiva, droga e tossicodipendenza, ma la vera problematica è la loro storia famigliare, ovvero laddove tutti i problemi sono nati. Credo che in generale si dovrebbe lavorare maggiormente sulla parte preventiva, con le famiglie dei quartieri più poveri, direttamente nelle loro case, con i genitori che patiscono la grande disoccupazione o l’alcolismo, per evitare che i loro figli finiscano sulla strada. Tutti gli adolescenti che stanno vivendo sulla strada hanno una storia famigliare di maltratto, abuso, violenza, consumo di sostanze.

9. Quali aspetti sono necessari per riuscire ad avvicinarli e a raggiungere un reciproco rispetto?

La miglior cosa le prime volte è avvicinarsi con qualcuno che già li conosce. Avvicinarsi in maniera indipendente (come alcuni presunti educatori “free lance” fanno), non è tanto pericoloso quanto rischioso. Al di la di questo, la cosa più importante è vedere queste persone esattamente uguali a noi, sentirli uguali a noi e trasmettere questo sincero sentimento. Sono persone che come tutti amano, si arrabbiano, stanno male e che possono offrire tanto, proprio come possiamo fare tutti. È importante sentire che loro sono così, perché loro lo percepiscono così come lo percepirebbe ognuno di noi. Una buona accettazione arriva poi con il tempo.

10. Quali sono i principali strumenti di avvicinamento, accompagnamento?

Il progetto è ampio, ogni attività strutturata è ben accetta perché rappresenta un ponte relazionale. Ogni area ha le sue attività da offrire alle persone in situazione di strada, che possono spaziare dalla salute allo studio dei diritti civili, dall’apprendimento di materie scolastiche basiche allo studio di malattie diffuse fra di loro. Ogni attività è basata sull’istruzione, sull’offerta di esperienze di vita, tentiamo di trasmettere informazioni e sensibilizzarli su varie tematiche.

11. Qualora un giovane decidesse di lasciare la vita sulla strada?

Hanno varie possibilità di lasciare la strada, a Cochabamba esistono ad esempio diversi centri di recupero. Per gli adulti è un po’ più difficile, ho letto recentemente che il 70% dei centri di recupero in città contemplano l’attenzione a persone sotto i 18 anni. Quando si sviluppa una richiesta di lasciare la strada, la cosa principale da fare è rafforzare, fortificare questa decisione, perché a volte la decisione può rivelarsi poco chiara, poco motivata, a volte può essere solo una bugia, o un desiderio di lasciare la strada e la droga ma solo per un po’, il tempo di riposarsi e rifocillarsi. Noi dobbiamo verificare e consolidare questo tipo di domanda di cambio, qualora fosse il caso.

12. A livello personale cosa trai dal tuo lavoro? Quali emozioni ricevi?

Per me sono emozioni molto positive. Sento di poter offrire tanto, sento di rappresentare una parte piccola ma importante nella loro vita. La cosa che più mi rende attento e impegnato è la consapevolezza di poter essere l’ultima opportunità nella vita di molti di loro. Quanti ragazze e ragazzi non hanno avuto una ultima opportunità o magari l’ hanno sfruttata male o magari ancora l’intervento è stato fatto con malavoglia da parte dei professionisti, chi lo può sapere!

Il fatto di offrire, di comprendere la loro situazione, mi riempie di tranquillità, perché so che ci sto provando con tutte le mie energie. Quando un ragazzo arriva e ti dice: “sto bene, ho una stanza in affitto mia, grazie!”…mah, personalmente credo e sento che nemmeno un milione di soldi possa essere comparato con questa cosa. Esistono anche le frustrazioni…quando lavori e al contempo vivi da vicino le loro ricadute o le loro sconfitte, ti frustri…il lavoro di strada con loro non è facile, devi essere preparato emotivamente, perché loro ti assorbono totalmente nei loro problemi…devi essere capace a “stare su”, perché in strada ci vai per motivarli e non puoi portarti dietro i tuoi malesseri o sentimenti negativi.

A me danno allegria…io confido sempre in loro…tu lo hai visto con i tuoi occhi Matteo…anche i casi più gravi, quelli dei quali si pensa che mai si tireranno fuori, a volte riescono a riprendersi, ad andare avanti o perlomeno a sentire una motivazione.

13. Pensi sia utile (in quale misura) l’invio di personale volontario?

Evidentemente i volontari sono una cosa molto importante, ci aiutano molto nella Fondazione e nei singoli progetti. Il loro appoggio è essenziale, perché ognuno di loro arriva a diventare parte integrante delle varie equipe di lavoro. Dal mio punto di vista comunque il volontario o la volontaria devono avere un profilo personale e professionale serio, devono avere perlomeno delle conoscenze basiche del lavoro in questione, devono sapere perché sono venuti a Cochabamba e soprattutto devono dimostrare impegno e volontà, devono avere voglia di lavorare…i volontari e le volontarie che vengono qua solo per “turismo”, bhè, sarebbe meglio che vadano da qualche altra parte.

Nessun commento:

Posta un commento