martedì 28 settembre 2010

Ritirata tattica-testo scritto settimana scorsa


Tempo fa uno ha detto che la vita “o la scrivi o la vivi”. Molti scrittori famosi sono d’accordo. In questo periodo, o perlomeno in questo preciso istante (concedetemelo), mi posso considerare uno scrittore…pertanto desidero, in qualità di “scrittore”, schierarmi contro questa tesi. Quando uno scrive la vita se la vive eccome; certo, fisicamente è assente da dinamiche o processi sociali nelle varie collettività, però con la testa probabilmente ci è dentro in pieno, forse anche più lucidamente degli altri. Scrivere di un mondo (e badate bene al fatto che di mondi ce n’è tanti quanti gli atomi), non implica forzatamente il fatto di estraniarsi, isolarsi da esso. Scrivere di qualcosa secondo me significa partecipare, con il valore aggiunto di lasciare un segno, nero su bianco, per l’interesse di chi a quella cosa ci si sta avvicinando, o ci è già passato, o ha intenzione di passarci, oppure ancora gli interessa un po’.
Questa breve introduzione in realtà sta fungendo da attenuante, il fatto è che mi sento in colpa…già; da qualche ora sono finito nello sconfinato, umido e ombroso baratro dell’influenza intestinale…e mi sono assentato dal lavoro. Eccomi qua, apparentemente ho smesso di vivere nel mondo, ma ne sto scrivendo, sto contribuendo, ci sono, esisto, anche se gli unici esseri che mi stanno vedendo sono la mia amata Nicole ed i bacarozzi che abitano la nostra doccia. Si chiama influenza intestinale non a caso…qualcosa ha influito negativamente sul mio apparato gastrointestinale. Non preoccupatevi, questo non sarà un post sul mio intestino…è solo che in qualche modo sto rendendo conto a me stesso e a voi, che state seguendo fedelmente la nostra presenza qui, del fatto che il mio corpo ha deciso di ritirarsi per un po’, magari per un paio di giorni. Ma perché questa repentina ritirata tattica? Ieri sera stavo tornando a casa a piedi, mi sono fatto una bella e salutare camminata, costeggiando interamente per circa 45 minuti e nell’ordine, le grandi Avenidas San Martin; Ballivian, Libertador Bolivar e America. Ho respirato metalli per tutto il tempo e mentre camminavo mi è venuto in mente l’inceneritore di Giubiasco…quando torno posso andarci a fare le inalazioni nei giorni di raffreddore. L’agitazione e lo stress di quella camminata deve avermi messo fame, così, dopo aver incontrato Nicole vicino a casa, abbiamo deciso di mangiarci una salteña prima di cena (una squisita pasta salata ripiena). In Bolivia le salteñas sono particolarmente indicate per il pasto di metà mattinata, infatti funzionano bene come corroboranti e in più diminuiscono notevolmente la fame; Nicole ed io non siamo molto tradizionalisti e non ci siamo rimasti troppo sopra…ce la siamo pappata verso le 20:00. Oggi, appena arrivato al lavoro, stavo piuttosto male…tutti, a turno, mi hanno chiesto cosa avevo mangiato e dopo l’informazione relativa alla salteña tutti, a turno, ridevano.
Il fatto è che la pasta in questione si mangia al mattino, solo perché solitamente i panettieri le cucinano molto presto…e ora di sera non sono più tanto fresche. La tradizione spesso è influenzata da una logica molto più razionale di quanto si possa pensare.
Chissà (ora parte la grande teoria Freudiana), forse inconsciamente lo sapevo…lo sapevo che quella salteña era avariata, solo che, sempre inconsciamente avevo una gran voglia di isolarmi per un paio di giorni, per ragionare, per guardare Cochabamba da casa mia…e dunque l’ho buttata giù senza indugio…e così ha fatto Nicole, che attualmente ha la peggio e si trova nel suo letto in compagnia dei signori Buscopan e Dafalgan.
Deve essere così, inconsciamente lo sapevo, e il cervello metafisico che ho situato non so dove, ha mandato lo stimolo della fame, mi ha fatto cercare la salteña più guasta dell’Avenida America e me l’ha fatta mangiare, così ora io, il mio inconscio e tutto il resto, possiamo stare qua, con il desiderio esaudibile di parlarvi e ragionare ancora un po’ del luogo in cui stiamo vivendo.
Ogni tanto la voglia di staccarmi da Cochabamba mi prende; quando lavoro sulle colline, con le persone che ci vivono, ad esempio, mi capita di scorgere in lontananza l’aeroporto Wilstermann, sul quale sono atterrato circa due mesi fa. Guardo l’aeroporto e penso di prendere un aereo per La Paz, Santa Cruz, Sucre…poi penso di prenderne un altro per San Paolo e poi un altro per Lisbona, Madrid, Milano…ma poi mi fermo e mi sento bene…capisco che ci cono diverse cose che non mi stanno piacendo di questa città, di questa cultura, di questa società, di questa politica…e capisco che questa reticenza è un bene prezioso, da coltivare in modo costruttivo. Questo aspetto di criticità che sto scoprendo in me stesso, è il segno inequivocabile del fatto che non sto mitizzando, idealizzando, distorcendo la mia permanenza a Cochabamba. Ci sono grandi cose che non funzionano in questa società, così come ci sono nella società dalla quale provengo. Esisteva l’ombra di un’aspettativa in noi, prima di arrivare qua…era relativa al desiderio di incontrare un modello di sviluppo alternativo…l’aspettativa umilmente ha fatto diversi passi indietro…lasciando spazio ad una nuova consapevolezza. I modelli alternativi esistono, così come esistono li da noi…ma nulla più. Non siamo delusi, non siamo mai stati dei grandi idealisti. Ogni tanto, qui a Cochabamba, mi sembra di vivere negli europei anni ottanta, o nella prima metà dei novanta, quando la parola “sensibilizzazione” non aveva preso ancora molto piede, quando, insieme ai ’70, sono stati fatti i danni meno consapevoli a livello ambientale, consumistico, ma anche sociale. Quando penso a queste cose, facilmente rotolo giù nel burrone della commiserazione, del disprezzo, ma immediatamente mi rendo conto di quanto sia inutile farlo. Inoltre noi siamo qua per fare gli educatori, la dimensione che più ci interessa è quella umana; piccola, rispetto alla grande macchina inarrestabile chiamata sistema. La Coca-Cola governa il mercato al punto che le scolaresche di bambini vanno in gita presso le sue fabbriche? L’aria fa schifo tanto quanto certe auto giganti che si vedono in giro? La società da queste parti sta seguendo esattamente il nostro modello, commettendo gli stessi errori? Non è che certe cose mi lasciano indifferente, però credo che ognuno debba cercare di fare bene il suo piccolo.
Facciamo che da oggi, Cochabamba per me, altro non è che un grande e variopinto teatro di strada…a Cochabamba c’è vita…e non mi sto riferendo alla movida, alla fiesta, o alle discoteche. A Cochabamba c’è una vita urbana molto potente, tante cose accadono in strada…per strada la gente ci vive addirittura.
In strada la gente ci mangia, ci lavora, suona, canta, vende, spaccia, rapina, compra, protesta, lotta, nasce, muore, corre, grida, chiede, riceve, offre. Questo mi piace molto di Cochabamba, la dignità, la presenza degli uomini e delle donne, è tangibile, non è silenziosa, la gente si arrabbia pubblicamente e la strada è un luogo libero, non è solo un posto in cui si passa per recarsi da qualche altra parte. Ogni zona urbana di Cocha ha un’identità ben precisa, manifesta, direttamente legata allo stile di vita e alle necessità delle persone che ci abitano. La strada a Cochabamba è contaminata dalla presenza dei suoi abitanti, e mai diviene asettica, silenziosa, neutra. Io in strada ci lavoro ed ogni giorno ricevo, come fossero doni, stimoli che mi permettono di imparare direttamente dalle mie esperienze personali. In questo senso si, Cochabamba si sta rivelando un alternativa, dalla quale stiamo traendo tanto. Esistono resistenze e movimenti di persone che da noi non si trovano, eppure materialmente parlando, mediamente la gente non possiede neppure la metà di tutto ciò che possediamo noi. Quando parlo di resistenze e movimenti, non alludo ad insiemi politici, bensì a sistemi per stare al mondo degnamente, per far sentire la propria voce, per conquistarsi un metro quadrato in una nazione difficile. Sorrido pensando ad una signora che ha affisso un cartello fuori dalla propria abitazione: “affitto le mie posate per compleanni e matrimoni”. Cochabamba è un po’ così: illogica (ma la logica è relativa), sorprendente, ma in ogni caso molto umana, nel bene e nel male.

2 commenti:

  1. Con i vostri racconti fate compagnia a una povera educatrice durante le sue notti lavorative insonni.. un abbraccio

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  2. bello il delirio freudiano inziale ... hai inizato a farti di colla pure te? eh eh eh Sui movimenti ... tolti gli occhiali rosa iniziali guarderei comunque il bicchiere mezzo pieno che viste le condizioni generali giudicherei comunque più pieno del nostro

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