mercoledì 1 giugno 2011

A bocca asciutta

Sentivo da un po’ che era tempo di tornare a scrivere, non chiedetemi cosa è successo in questi ultimi due mesi, durante in quali praticamente ho totalmente ignorato il richiamo della tastiera. Non chiedetelo perché non saprei rispondere…oppure banalmente potrei abbozzare il classico giustificativo relativo al fatto che ero impegnato a vivere le cose senza analizzarle troppo. L’ho appena scritto e mi rendo conto che in fondo è la pura verità.
“Bando alle ciance”…sono qui per difendere la secchezza dell’ultima intervista riportata…quella del 7 maggio fatta ad un uomo in situazione di strada, nella città di Cochabamba, Bolivia.
L’ho riletta diverse volte ed ogni volta, effettivamente, mi sono posto dei quesiti.
Non aveva voglia di parlare? Ho rivolto domande poco stimolanti? Non sono entrato in merito di nessun discorso specifico?
Ricordo che quel giorno gli abitanti della Collina San Sebastian, avevano bevuto tutti…e molto. Ricordo che l’uomo in questione aveva risposto con entusiasmo non verbale alla mia proposta di intervistarlo…gli si erano illuminati gli occhi e saltando si era diretto senza dire nulla verso una panchina…futuro luogo dell’intervista. Tutto il gruppo aveva iniziato a giocare a calcio, con l’aiuto di due miei colleghi. Ricordo che alla vista del mio registratore elettronico l’uomo aveva storto il naso e mi aveva chiesto di riportare quello che diceva su carta, senza specificare un perché.
Gli ho spiegato il senso di quello che stavamo per fare, ma proprio mentre inspiravo per caricare ed esalare la prima domanda, nel bel mezzo del campetto da gioco è iniziata una rissa fra due giovani. I miei due colleghi germanici hanno cercato di intervenire, ma il più aggressivo fra i due litiganti ha lasciato partire un calcio diretto alle gambe di Johannes, uno dei due tedeschi. La scena ha lasciato tutti di stucco, il giovane volontario si è spaventato ed io ho deciso di intervenire. Mentre mi dirigevo verso la zona del litigio un terzo giovane in situazione di strada ha iniziato a picchiarsi con il ragazzo che aveva appena tirato un calcio a Johannes…la situazione stava degenerando. Abbiamo impiegato circa mezz’ora per ristabilire una calma decente. Il ragazzo ubriaco che aveva calciato l’educatore si è poi scusato; quello che era intervenuto per ultimo si è giustificato dicendo che in nessun caso si diventa aggressivi verso un volontario (ne conoscono molti).
Tornato dall’uomo che aveva accettato di farsi intervistare mi sono fatto rilasciare l’intervita che poi ho riportato nel blog.
Oggi, dopo un mese circa, torno a scrivere per cercare di esprimere quello che sento in merito all’aridità dell’intervista.
Quasi un anno fa ho scritto della preparazione pre-partenza…le parole fluivano come ruscelli di montagna, dalla testa verso il petto. Ho scritto in seguito dei primi contatti con la Fondazione Estrellas en la Calle, avevo molte cose da dire. Poi ho iniziato a descrivere i “Capitani dell’asfalto”, raccontandovi poeticamente di come apparivano ai miei occhi e alla mia analisi le “bande” della città. Infine ho iniziato con le intervise: la prima alla Coordinatrice della Fondazione, persona erudita e esaustiva, appassionata al suo lavoro come poche altre persone che conosco; la seconda al responsabile del progetto Coyera, esperto di lavoro di strada e bravissimo nel crearsi sempre nuovi stimoli fondamentali per andare avanti in quello che fa; la terza intervista l’ho fatta all’amica ed ex collega Barbara, ex responsabile dell’area salute, professionista precisa e sincera. Personalmente reputo il percorso fatto fino ad oggi molto appassionante ed interessante. Il paradosso, anche se forse non è il termine adatto, lo incontro quando esco…quando vado in strada. La bocca rimane asciutta…la realtà si fa arida e priva di parole…forse è per questo che l’intervista all’uomo che vive sulla collina non ha funzionato…forse è per questo che mi sentirei una specie di “falso”, riportando un’intervista corposa e ricca di dettagli, uscita dalla bocca di una persona in situazione di strada.
Non so…non vorrei sembrare provocatorio…non lo sono affatto…in realtà sto parlando di una cosa che io per primo sto “subendo”…ovvero il fatto di confrontarmi quotidianamente con una realtà tanto degradata da aver occultato quasi ogni domanda d’aiuto…quasi ogni argomentazione…quasi ogni rappresentazione verbale. Sono quotidianamente confrontato con una realtà priva di parole, seppur ricchissima di gesti e significati.
In fondo lo so che la domanda d’aiuto esiste, così come esistono le storie personali dei ragazzi, le argomentazioni interessanti, le loro rappresentazioni in merito alla realtà che vivono…solo che spesso bisogna scavare molto per arrivare a queste cose…e farlo attraverso un’intervista è un compito arduo a dir poco.
Concludo il tutto promettendo di provarci ancora…manca un mese e mezzo alla fine…chissà se ci riuscirò.

Un abbraccio
Matteo

1 commento:

  1. A volte non ci sono parole adatte per spiegarsi, a volte basta una parola per spiegare un mondo intero...
    Ciò che facciamo è ciò che siamo!
    Ce la farai, se è quello che devi fare...vai avanti :)

    Um abraço

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