domenica 26 giugno 2011

Esco in moto. Racconto breve (fatti e personaggi non sono puramente inventati)

“Esco in moto, vado a comprare i fiori per Gustavo” cantilenò Gualberto, facendo rimbalzare la sua voce fra le pareti di tutta la spartana casa.
“I fiori?” ribatté una voce di donna, apparentemente severa, ma in realtà solo attenta.
“Domani Gustavo deve portare dei fiori a scuola, per la cerimonia di San Juan, non ricordi?”

La donna non rispose più, sentendosi fronteggiata su una materia della quale pretendeva l’esclusiva, all’interno della quale esigeva un ruolo di gerenza unico ed incontestabile: i figli.
Gustavo doveva portare dei fiori a scuola; lei gli aveva detto di procurarsene tre; di staccarne uno da ognuno dei tre giardini delle villette ubicate sull’Avenida subito parallela alla loro, in direzione Sud; perché di soldi per comprare dei fiori in un negozio, semplicemente, non ce n’erano e non ce ne dovevano essere. Gustavo non lo aveva fatto e lei era sicura che la ragione non era riconducibile alla correttezza d’animo del bambino di otto anni, bensì alla sua debolezza di memoria, alla sua negligenza per ora innocente e in parte giustificabile, per ora.
Ora, durante la sera in questione, di sicuro Gustavo era scivolato fino alle gambe del padre Gualberto, mormorandogli senza farsi sentire dalla donna di casa, che i fiori non c’erano, ma che i fiori dovevano esserci. Ora, l’uomo di casa, attentava alla coerenza del ruolo materno insinuando che la donna si fosse dimenticata dell’incombenza. Ora, la donna rimaneva in silenzio masticando il suo nervosismo, mentre l’uomo si illudeva di dover sbrigare una faccenda alla quale nessun’altro aveva pensato.
Paula, la donna, vide tutto con chiarezza ineccepibile, memore di come i suoi fratelli erano diventati adulti mai-autosufficienti, nonché intimorita dall’idea che a Gustavo potesse succedere la stessa cosa. Silente si perse in questi pensieri inconsapevolmente femministi, mentre fuori dalla cucina la serata faceva il suo corso.
Gualberto stropicciò i capelli del piccolo Gustavo ed uscì di casa.
Subito fuori dalla porta principale c’era la moto della famiglia, l’unico veicolo privato a disposizione.
La due ruote chiaramente non era immatricolata, non aveva targhe e sbriciolava letteralmente ogni tentativo di regolamentazione per la sicurezza del conducente. Copertoni lisci, marmitta corrosa e chiassosa, freni molto deboli e poco reattivi, fari guasti.
L’uomo uscì dal centimetrico vialetto di casa, immettendosi sull’Avenida poco trafficata, nella notte fresca.
Il motore vibrava e scoppiettava, ma faceva avanzare la motocicletta sull’asfalto lucido. Sapere dove trovare dei fiori alle dieci di sera non era da tutti, ma Gualberto in quella città ci era nato. Prese la prima a destra e iniziò a scendere in direzione Sud, passando proprio di fianco alle tre villette i quali giardini erano gremiti di piante e fiori di ogni genere. Tirò dritto fino ad arrivare ad un incrocio abbastanza trafficato, di lì svoltò nuovamente a destra, direzionandosi verso il centro. In quindici minuti sarebbe arrivato e tornato, con tre bellissimi fiori a buon mercato. Voleva fare presto, non aveva troppa voglia di raffreddarsi.
Pensava a questo quando dietro di lui un piccolo fuori strada lo spaventò, facendo piangere brevemente due sirene luminose e comunicandogli tramite un tuonante megafono posizionato sul tetto di accostare.
Non ci poteva credere, l’aveva beccato la polizia…già lo sapeva…cosa sarebbe successo.
Accostò riflettendo prontamente su quale atteggiamento assumere…probabilmente i due tutori della legge avevano voglia di mangiarsi un “trancapecho” e non avevano spiccioli in tasta…o forse si volevano comprare qualcosa di più grosso…bhè…in ogni caso dovevano trovarlo pronto. Il veicolo si fermò di fianco a Gualberto e alla sua fedele moto.
“Come ti viene in mente di andare in giro con una moto così malconcia?” disse il poliziotto seduto dalla parte del passeggero, senza neppure scendere dal fuoristrada.
“Perché, cos’ha che non va mio tenente? Sta meglio di molte altre moto che ci sono in giro mio tenente”
“Facci vedere la patente amico” sghignazzò una voce da dentro l’automobile.
“La patente?” a quel punto Gualberto fu sicuro di essere incappato in una infida trappola da sbirri notturni.
“Non hai nemmeno la patente vero?”
Gualberto scosse il capo ridacchiando amareggiato…lo sapevano tutti che la patente era cosa da privilegiati…quasi nessuno aveva la patente in quella zona della città.
“Dovrai seguirci in centrale amico, a meno che tu non voglia sistemare la questione direttamente qui e andartene tranquillo”
“Ok…vi seguo!” disse a voce alta e ferma Gualberto, senza alimentare nessuna illusione nei due agenti.

La jeep schizzò nella notte con il padre di famiglia dietro…Gualberto provava rabbia, sfiducia nel destino, ma sapeva che avrebbe dovuto comportarsi in maniera adeguata, per non farsi fregare.

Arrivarono, dopo cinque “quadras”, alla centrale della zona. Nessuno disse nulla fino a che i tre non entrarono in un ufficio odoroso di legno vecchio e tabacco scadente, dopo aver abbandonato i rispettivi mezzi di trasporto nel patio.

“Sai…amico, la multa in questo caso è di seicento” esordì il poliziotto che prima guidava la Jeep.
Gualberto trasalì…si spaventò, ma poi riprese equilibrio mentale, la stanza smise di girare in pochi istanti. L’uomo tornò a sentirsi di quel pianeta, a sentirsi di quella città, ovvero un individuo cresciuto in fretta per quelle stesse strade in cui i due poliziotti l’avevano intrappolato quella sera.

“Non ho questa somma, lavoro ogni tanto, ho tre figli…sono uscito questa sera per comprare tre fiori, domani mio figlio li ha bisogno, deve portarli a scuola per la festa di San Juan”
I due poliziotti si sorpresero a loro volta…quello che avevano davanti era un pesce anziano, avrebbero dovuto torchiarlo un po’ di più.

“E come hai intenzione di pagare? Devi pagare!”
“Prendetevi la moto…tenetevi l’unico mezzo che ha la mia famiglia per muoversi…io tornerò a casa a piedi, senza fiori”
“Ci vuoi impietosire vero?” i due poliziotti provarono per la prima volta in quella serata, un senso di impotenza.
“No, sono realista, tutto qui” Gualberto teneva la testa alta e fissava i due ufficiali negli occhi.

“Facciamo così amico…tu ci dai cento a testa e per questa volta torni a casa con moto e fiorellini”
I due poliziotti pregustavano lo scacco matto, attendendo la risposta…che invece arrivò come arriva una sassata.

“Non ho nemmeno questa somma…tenetevi la moto”
Un silenzio di dieci secondi fece cadere intonaco dal soffitto…graffiante silenzio.

“Ma come! Lo sai che non vogliamo tenerci la moto! Cosa ce ne facciamo! E poi tu devi tornare a casa sano e salvo amico!”
Gualberto tacque.

“Facciamo così allora…ci dai cinquanta a testa…ed è tutto a posto”
“Non ho nemmeno questa somma qui con me, sono uscito di casa solo per...”

“Venti!” lo interruppe sibilante ed esasperato il poliziotto che sedeva dalla parte del conducente qualche minuto prima.
“Non ho nemmeno questa somma…sono uscito di casa per comprare tre fiori…ho in tasta cinque…è tutto quello che ho…li volete? O vi lascio la moto?” Gualberto li fissava, sapeva che la moto non l’avrebbero presa…sapeva che avrebbe destato troppi sospetti nei loro colleghi onesti, o nei loro superiori…sapeva che impossessarsi di quella moto ormai era come diventare padroni di un cane stanco e grasso, sempre affamato, poco guardiano e che magari controllava male gli sfinteri.

I due poliziotti avevano voglia di arrabbiarsi…ma sentivano chiaramente che una sorta di ridicola umiliazione si stava impossessando di quella situazione…più chiaramente si stava impossessando dei loro ruoli.

Fu il poliziotto conducente a parlare.
“Va bene amico…dacci quello che hai in tasta e vattene”.

Gualberto sbarrò gli occhi, ma al contempo sollevò automaticamente gli angoli della bocca, in un ghigno flebile eppure pesantissimo. Aveva vinto…per quella volta.
Tirò fuori dalla tasca destra la moneta da cinque…la posò con calma su quella vecchia scrivania violentata dai tarli…facendola poi scivolare con il dito indice fino a metà tragitto…dell’altra metà tragitto si occupò l’ufficiale seduto di fronte a lui, quello che guidava, quello che voleva la sua monetina da cinque.
“Salute e buon appetito” mormorò Gualberto ironico, pentendosi immediatamente di averlo fatto.
I due tenenti lo guardarono seriamente, invitandolo poi, con falsa pacatezza, a lasciare la centrale e a mettere a posto la sua motocicletta.

Montò in sella con le mani leggermente tremanti, mise in moto. Cinque minuti dopo stava sottraendo tre fiori da tre giardini differenti, fuori da tre villette ubicate vicino a casa sua, ma un po’ più a Sud. I fiori erano belli. Tornò a casa, tutti erano già a letto…Gualberto posò i fiori di fianco alla cartella di Gustavo e andò a dormire.


Un abrazo fuerte
Matteo

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